Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

martedì 22 gennaio 2008

Ogni santissimo venerdì - ultima parte

di Ezechiele Lupo

Il pretaccio era in bagno e quando uscì per infilarsi il cappotto e pagare la donnaccia, ella era pronta per riferirgli ciò che aveva pensato: “Caro vescovo le dirò quello che ho pensato in questa settimana. Le voglio premettere che ho rinunciato a recitare e a capire la sua preghiera. Non la potevo comprendere, non ne afferravo il senso, e cercare mi dava noia. Prima almeno mi rilassava, quella serie di parole così musicali… erano proprio belle. Ma poi lei con i suoi discorsi me le ha rese odiose. Mi dispiace molto se questo sarà il nostro ultimo momento insieme, ma io della religione non me ne faccio niente. Vorrei parlarle di quello che facciamo ogni volta io e lei il venerdì mattina. Vede vescovo, il mio mestiere è questo, e non c’è nulla di più gratificante per me al mondo. Ma con lei ho qualche problema. Non so se se ne è accorto e per timidezza, o imbarazzo, non me lo ha mai detto. Lei non è molto esperto, lo capisco, ma con tutta la pratica che le ho fatto fare… insomma speravo che qualcosa si riuscisse ad ottenere. Invece mi parla della mia superbia, del mio peccato capitale. Lei fa bene, perché questo è il suo lavoro, e probabilmente io sarò anche superba, non lo nego. Ma la cosa non mi interessa. Sa, ho capito una cosa: lei trova il senso delle cose nella fede, io nel piacere. Solo che io ci guadagno anche. Lei avrà pure la fede, ma non l’hanno ancora inventato un mestiere per il quale basti essere un credente per farci su dei soldi. La sua posizione è chiaramente perdente, rispetto alla mia. Ecco perché non voglio più sentirmi giudicata e comandata da lei. Ecco l’ho detto. E se crede non si faccia più vedere.”
Il vescovo di T****** aveva ascoltato in silenzio e ad un certo punto si era seduto con il cappotto in grembo sulla poltrona di velluto dove reggicalze e guepiere trovavano posto. Al termine del discorso della donnaccia, il pretaccio sorrise. La donnaccia se ne stupì incredibilmente. Poi egli parlò così: “Lei, carissima, ha più che ragione: la mia posizione è in perdita perenne, sono costretto a vivere in Cristo perché solo la fede risarcisce l’uomo della propria incompletezza. Il piacere non è un risarcimento, diceva qualcuno. Ma nella fede c’è una grande illusione: è l’illusione che io chiamerei “di risposta”. La fede manca di risposte. Allo stesso modo il piacere: solo che al piacere mancano anche le domande. Lei sceglie il piacere perché non chiede nulla. Io mi domando continuamente una cosa. Sa qual è? Vuole saperlo? Glielo dico: perché nessun uomo capisce che il senso delle cose sta nella costruzione di un rapporto, uno e uno solo, che raggiunga il massimo grado di empatia? In questo rapporto l’uomo è un Creatore. La creazione di un universo è la creazione di un amore. Il senso non sta nella completezza, e nemmeno nel piacere, che trova significato in se stesso. Una domanda per mille risposte, o mille domande per una risposta. Ecco perché io vengo da lei, e solo da lei. A venerdì cara.”
La porta si richiuse dietro alla figura un po’ barcollante del vescovo di T******.
La donnaccia era nuda davanti allo specchio e pensava al suo bel seno, così alto, così bianco e così rosa. Se lo accarezzava e volgeva la testa indietro, mentre, senza accorgersene, piegava il ginocchio sinistro. Già intuiva che fede, piacere ed amore erano le tre parti di un racconto bellissimo ed infinito, circolare e perfetto: il racconto di un amplesso.
(Fine)

11 commenti:

Anonimo ha detto...

L'amplesso e la fede sono poli cortocircuitati dall'amore e l'amore è relazione? Dunque la salvezza sta nella "relazione" intesa come rottura dell'isolamento?

Anonimo ha detto...

Ah lei Ezechiele Lupo si conferma sempre più geniale. Che prosa, che eloquio, che scelta dei vocaboli! E come dimenticare l'elegante fraseggio, la raffinata aggettivazione, il prosodico andamento della frase. Guardi trovo superba perfino la scelta delle proposizioni, delle virgole e delle interiezioni. Ce ne fossero tanti di scrittori come lei, capaci di sana letteratura, bella, buona ed edificante, non come certi scribacchini dei giorni nostri.. (e non mi faccia far nomi che altrimenti non mi fermo più...) Quindi ancora un plauso stimatissimo Ezechiele.

Carluccio

Anonimo ha detto...

Grazie. Non merito. Comprendo l'iperbole. Ma molte grazie. Se ci fosse dell'ironia mi sembra assolutamente legittimo che ci sia. Servo Vostro.

Anonimo ha detto...

C'è qualcosa che non mi torna.

Anonimo ha detto...

A' Filo' nun fa' sempre er misterioso! Diccelo un po'che è che nun te convince, nun te va, nun te piace! Nun ce lascia' sempre con st'incertezza, ao! Eddaie...

Anonimo ha detto...

Già è vero: bello è esprimere il proprio dissenso e/o assenzo. Ad ogni modo ringrazio tutti per la cortese lettura.

Anonimo ha detto...

Gentile Ezechiele Lupo, mi permetta una semplice domanda che la curiosità mi spinge a chiederle: il racconto contiene per caso qualche elemento autobiografico?

Anonimo ha detto...

No, nulla. Non sono nè un prete, nè una prostituta. Sono un medico, perdinci!

Anonimo ha detto...

Forse il nostro amico non intendeva un autobiografismo in senso così stretto, magari ecco qualche coincidenza e/o tangenza con le vicende ed i dilemmi affrontati dal racconto. D'altronde non vi è sempre qualcosa di nostro in ciò che scriviamo?

Tra l'altro devo dire che il livello dei materiali pubblicati su questo blog cresce sempre più. Speriamo che questo esperimento possa essere longevo.
A preto

M

Anonimo ha detto...

Preliminarmente ringrazio per gli apprezzamenti e mi scuso per l'eccessiva serietà, se non pesantezza, che accompagnerà questa mia risposta, ma il tema mi piace molto e voglio sviscerarlo con la maggior puntualità possibile. Allora diciamo così: se per autobiografismo intendiamo che il discorso si svulappa attraverso dinamiche che l'autore conosce perchè le ha sperimentate, allora sì, certo, ce n'è eccome. Secondariamente, però, dipende anche da qual'è l'orizzonte d'attesa di un lettore rispetto al testo. Non credo che il testo sia di per sè portatore di un messaggio autorale: più spesso una storia si sviluppa attraverso un linguaggio che non ha in sè una referenza col reale. Il discorso della storia è nella maggior parte delle volte il racconto di uno scarto rispetto ad una norma nell'uso del linguaggio. Se la lingua dice. Il linguaggio allude. Se poi alluda a qualcosa di sè sarà un problema del lettore. A presto.

Anonimo ha detto...

L' atmosfera da Via del Campo mi affascina. Bella anche la citazione dantesca. Viva viva i racconti licenziosi!