Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

domenica 30 settembre 2007

Quakers - prima parte

di Norberto Giffuri

Sfiancato, insonnolito, abbrustolito da un pomeriggio di abbronzo e sbronza scendeva la statale Regina infilando una curva dietro l'altra con un provvidenziale automatismo derivato da una lunga esperienza in fatto di guida oltre il tasso alcolemico consentito. I fari del vecchio fuoristrada immortalavano rocce, alberi, parapetti, qualche sparuto gruppo di passanti, e solitarie auto lanciate nella corsia opposta. Oltre il fascio giallognolo di fotoni tanto e tanto buio: una nera coltre segnata dagli occhi bianchi dei lampioni e dal ventre molle del lago, tutto punteggiato da un pulviscolo di riflessi d'argento che pareva un mondo di fiaba...ma, osservando nello specchietto retrovisore il suo volto teso e quelle pupille così acquose, dilatate, capì senz'altro che non si trovava nel regno delle fate ma in un mondo di sangue e ossa e terra umida nella quale piantare le unghie.
Era una notte d'agosto, insolitamente fredda, di quelle nelle quali i turisti tedeschi arrivano a sfoggiare maglioni di lana variopinti tanto pesanti quanto anacronistici. Le fronde degli alberi erano spettinate da un vento ruvido che sapeva un po' di vaniglia...- sì, proprio di vaniglia - constatò infilando la testa fuori dal finestrino, la bocca spalancata, i capelli corvini danzanti. Nel cielo ardevano un migliaio di stelle, troppe forse, poiché ognuna dispensava il proprio carico di indifferenza, un fardello troppo pesante per la schiena di un ubriaco. A parte il freddo fuori stagione, il ciucco alla guida e il vento gusto vaniglia era una notte come le altre...anzi, nonostante tutto, insomma, lo era.

Dopo l'ennesima strettoia accompagnata dallo stridere delle gomme cominciò una rapida risalita verso la lucidità. Valutò causa, contesto, prospettive, e il suo piede si fece meno pesante sull'acceleratore. Nuovamente il suo volto tirato nello specchietto: questa volta lesse nello sguardo un accenno di rimprovero. La curva successiva venne approcciata con fare gentile.

Gli sovvenne della corsa fuori dal bar, i dieci bicchieri prima Martini on the rocks, poi, solo vetro -naturalmente non pagati-; le risa pazze, l'incedere ritmato dei passi sul ciottolato, Lucas che si tuffa letteralmente nella sua spider e salutando schizza via lungo il viale in un vortice di polvere. Un'altra serata appoggiati al tavolo di un bar; trentenni che non volevano scendere a patti col mondo..come diceva quella canzone? Tutta questa impresa e poi il sabato all'iper a far la spesa...non era per loro...non era per la loro la cena con i parenti a Natale, il pic-nic con la prole a carico, il mutuo da pagare; non erano per loro le uniformi, l'annuire, gli impegni inderogabili, gli straordinari. Come le aquile volevano essere, volare in cattedrali di solitudine, in alto, nell'azzurro...

...e poi improvviso, ancora una volta, un rovello oscuro si infila nelle pieghe aperte tra un neurone e l'altro nel delirio della sbornia...passa sotto la cortina dei pensieri libertini, tra le trincee scavate dall'orgoglio e giunto al centro della calotta, proprio tra orecchio e orecchio, sussurra: “sai, a volte c'è più dignità nel gracchiare nei campi di grano con gli altri corvi, dove stai andando tutto solo? questi cieli sono troppo grandi per le tue piccole ali spennate!”
(continua...)

mercoledì 19 settembre 2007

Erich Priebke

di Norberto Giffuri

Il perdono è questione privata,
Giustizia e Memoria
Sono affare di tutti.

Per questo, cinquant’anni dopo,
Nel nome della Giustizia,
L’abbiamo scovato nella Baviera andina:
Estradato, processato e condannato.

Nel nome della Memoria,
Ne abbiamo parlato al tg
Tre minuti
Tra il gossip sulla soubrette in bikini
E il cane che abbaia l’ouverture di Rossini.

Nel nome del Perdono,
Paghiamo l’appuntato che la mattina
Lo porta al parco a far jogging
Così che sconti la pena e viva bene
Come viveva in Argentina.