Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

sabato 26 dicembre 2009

Tre libri per il 2010

Jonathan Coe – Circolo Chiuso

di Ezechiele Lupo

Benjamin e Paul Trotter, Claire Newman, Philip Chase, Doug Anderton e Malvina, sono nomi che non usciranno mai più dalla testa del lettore. Jonathan Coe, scrittore e giornalista fa parte dell’intellighenzia radical-left inglese che ha taciuto durante gli anni del tatcherismo, divorandosi il fegato sulla chaise longue dello psichiatra, per poi, una volta al potere con il New Labour di Tony, decostruire il partito pezzo pezzo e contribuire al prossimo ritorno dei Tories. Nel 2002 e nel 2004 Coe licenzia due libri: La banda dei brocchi (The Rotters Club) e Circolo Chiuso (The Closed Circle), l’uno il sequel dell’altro, ma entrambi leggibili come romanzi in sé compiuti. Circolo Chiuso è decisamente superiore: troviamo l’Inghilterra degli ultimi dieci anni, tra Birmingham e Westminster, dove Paul Trotter sgomita per il titolo di più giovane e rampante parlamentare labour. I personaggi di Coe animano l’intreccio, spesso centrifugo, talvolta centripeto, con una coerenza discorsiva più solida che poetica. Attraverso i tempi e i luoghi del racconto, sempre equilibrati, e la pluralità di generi utilizzati dal narratore (romanzo epistolare, simulati stralci di giornale, diaristica), si dispiegano i punti di vista delle tremende macchine testuali che sono i personaggi della storia: i loro discorsi, i loro movimenti sono come il pennello con cui il fotografo stendeva la luce davanti al soggetto. Al lettore non è permessa la creazione di un orizzonte d’attesa, tutto è destinato all’illuminazione del punto di vista focalizzato sul personaggio: il resto è in ombra. Circolo Chiuso è un testo per certi versi rinascimentale, un Orlando Furioso, tra sushi bar e cottage sulle scogliere, tra pub e ristoranti di Chelsea, sorretto dalla furia dei personaggi. E poi arriva Berlino, la notte che si riflette sugli specchi del Bundestag, il ristorante di un albergo su Unter Den Linden. E una canzone che Lois Trotter non può proprio sopportare.

Jonathan Coe, Circolo Chiuso, Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 403, euro 8,50.

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Michele Mari – Filologia dell'anfibio. Diario militare

di Norberto Giffuri

Ora, recensire un libro dimenticato su uno scaffale a sessanta chilometri da casa non è semplicissimo. Solitamente mi limito all'operazione di restyling e fusione critica di quanto leggo nell'introduzione e nella quarta di copertina. In questo caso, per raccontarvi Filologia dell'anfibio di Michele Mari, dovrò invece attingere dalla memoria, compiendo così uno scavo nel ricordo che ha delle affinità con quello a suo tempo compiuto dall'esimio Mari: in pratica pesco frammenti letti da un testo scritto pescando da un passato lontano.
Il passato lontano è il servizio di leva, precisamente i primi mesi da recluta nella caserma di Como, anno 1979. Mari si produce in una puro esercizio stilistico di rievocazione letteraria. Posizionandosi stabilmente nella torre d'avorio, osservatore ormai distaccato, a volte aulico, altre bulimico di parole, ironico, dissacrante, puntiglioso ci racconta l'assurdità di quella macchina tignosa che è l'esercito, con ardente vocazione classificatoria e filologica.
Il risultato è un diario denso di letteratura e di aneddoti, piacevole alla lettura, a tratti esilarante, decisamente godibile. Difetti? Forse l'opera soffre di anacronismo, per temi trattati e per scelte linguistiche. Qualcuno potrebbe poi ravvisare una mancanza di pathos. Ma son certo che il pathos e la malinconia avrebbero guastato il prodotto rendendolo stucchevole.
Spero che Michele Mari legga questo pezzo e mi scriva una email. Sarà mia personale premura fargli avere l'iban del mio conto corrente grazie al quale potrà ricompensarmi per le belle parole che ho speso per il suo lavoro. Suvvia, generosità! È Natale in tutto il mondo, anche nella torre d'avorio.

Michele Mari, Filologia dell’anfibio. Diario militare, Laterza, Milano, 2009, pp. 234, euro 12.

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Truman Capote – A sangue freddo

di R. Castoro

E’ da poco in edicola un libro-inchiesta che si chiama Alberto e Chiara la verità di Garlasco in cui l’ex giovinastro mefistofelico, promosso sentenze alla mano a bocconiano discreto e compito, viene descritto da un grappolo di articoli, foto, retroscena e immancabili indiscrezioni. Ma non parleremo del testo che ha irritato il biondino – un po’ Wooland di Bulgakov, un po’ Twist dickensiano – della Lomellina. Nel 1965 veniva pubblicato A sangue freddo di Truman Capote, il primo e più riuscito esempio di non-fiction novel, per cui la realtà è narrata con il bisturi della letteratura. In quel caso un’intera famiglia era stata uccisa senza ragione, la domestica e sonnolenta provincia americana sanguinava su ogni prima pagina, e Capote entrò nel turbinio delle indagini giornalistiche esponendo la tragedia, focalizzando luoghi e personaggi, raccontando una storia. Gli episodi di violenza che esplodono nell’ordinario nulla, da sempre, generano curiosità. Ma è possibile raccontare storie di routine, guastate dal dolore e gravide di interrogativi, diversamente da come ha fatto Capote? Lui fu accusato di voyerismo, brutalità, indifferenza, ma l’impalcatura letteraria, capace di sciogliere il cinismo e offrire profondità ottica, ha protetto, negli anni, il suo lavoro. Inchieste espresso, articoli di giornale, manuali-del-buon-delitto-di-provincia, saggi di psicologia criminale, plastici scoperchiabili, riusciranno a decifrare, per noi, la violenza che fatalmente accade? Leggere A sangue freddo, nell’era del dramma nero infiocchettato sotto l’abete, può ancora suggerire alcune utili risposte.

Truman Capote, A sangue freddo, Garzanti, Milano, 2005, pp. 391, euro 16.

giovedì 24 dicembre 2009

Il televisore

di Norberto Giffuri

Ad un certo punto mi sono vestito, infilato le cuffie dell'ipod e sono sceso alla metro. Tre fermate, stazione Missori, taglio in Sant'Alessandro, via Torino, FNAC. Avevo voglia di possedere un televisore, un bel televisore lcd col quale ammirare film in alta risoluzione, godendo segretamente delle sorti magnifiche e progressive dell'umana tecnologia.
Nella bolgia di un sabato dicembrino ho scelto. Un modello bianco, elegante, seducente. Mi avvio alla cassa, preceduto dal commesso. Nell'atto di porgere la carta di credito vengo stoppato. “Mi spiace, abbiamo solo il modello in esposizione. Se mi lascia un acconto le procuro il televisore entro Natale”. Esito. Poi ritraggo la mano. Abbozzo una scusa. Testa bassa inforco le scale mobili.
All'uscita vengo abbracciato dall'enorme addetto alla sicurezza che mi sussurra dolcemente: “Lo so, lo so capita a tutti. Ti prudeva il portafogli? Non fare così, coraggio. Non c'è rimedio al Natale...”.
Sulle sue rassicuranti spalle scolpite dagli steroidi lascio due lacrime in dono.
Torno a casa mesto, mi sdraio sul divano, guardo il mobiletto vuoto davanti a me.

Buon Natale a tutti.