di Gian Giacomo Menelik
Emma è il nome del pensiero che lo ha tenuto sveglio le ultime notti. Emma è un idea. Un’idea dolce come il profumo che quella maglietta ha ancora addosso. Emma è la sintesi di uno sguardo, di una parlata, (quella spagnola) che, pensa lui, difficilmente lo stancherà nei prossimi mesi. Forse anni, chissà. Emma è la sintesi di un abbraccio, “non molto professionale, che di solito non entra nel rapporto ragazza-cliente”.
E sì, cazzo.
Emma è una escort. Per dirla con precisa proprietà di linguaggio, una puttana d’alto bordo.
Per lui, contravvenendo alle regole del bordello mascherato da strip club, si è tolta gli slip. Lo ha abbracciato, accarezzandolo con parole dolci e piane. Quelle parole senza pretese, che non cercano promesse. Quelle stesse parole che lui non riesce a trovare su altre bocche. Magari più caste. Magari più vantaggiose.
Emma è un’idea decadente.
Deve avere qualche anno più di lui, ma, (lei stessa glielo ha confidato), Emma ha vissuto assai. E’ stata sposata. Poi il divorzio, l’abbandono delle consuetudini. Una vita già scritta, registrata ieri e riproiettata oggi, non le andava bene. Emma non sa dove va, e quel che è peggio, non sa da dove viene.
Emma ha dei capezzoli dolcissimi, avvitati su due seni fatti col preciso compasso dell’ingegnere e resi plastici dalla mano incerta e insieme geniale dell’artista.
Emma profuma. E’ un misto tra qualche essenza di pesca e fumo di sigarette light. Quelle strette e lunghe per intenderci.
Emma giudica, di tanto in tanto con la leggerezza consapevole di Campanellino, la fatina di Peter Pan. Si limita a sussurrare: “che bel fisico, hai. Asciutto eppure in carne, nei luoghi corretti”. E laddove né la ragione né la sensibilità, né la loro simbolica unione arriva, ecco che Emma fa apparire il divino. Ordina del petrolio da bere, per lei, per il suo fisico perfetto. Tanto sarà lui a pagare, non c’è nemmeno da iniziare a parlarne. “Se tieni un papèl, ti segno il mio numero. Voglio vederti fuori di qua”. E’ epifania. La manifestazione del divino. Nel mimare il gesto dello scrivere il numero sul foglio, scuote i seni. Il vestitino minimale scopre un capezzolo.
Quel capezzolo che lui stesso ha inumidito poco prima. Lei fissa interrogativa il ragazzo, che sta vivendo e respirando quell’involontario divino. Incredibile pensare che quel rosa un po’ più scuro, sopra il seno chiaro sia solo un altro brandello di carne. Lui lo sente tanto suo, tanto umano, nella sua innegabile divinità. E’ eccitato dall’alcool, dalla concentrazione di emozioni e, non ultimo, dall’oggettiva e semplice bellezza di quel corpo. Di contro Emma è come in attesa. Pare distratta. Evidentemente non si è accorta della bellezza piùccheumana del suo petto, o della magnifica discrezione dei suoi gesti. Lui si accende una sigaretta. Butta giù il fumo. Tossicchia.
Emma ride.
Bella e virtuosa creatura. La sua virtù è tanto particolare, tanto soggettiva che nessun altro può accorgersene. Lui ha una moleskine nella tasca della giacca. La penna è fermata all’elastico.
Strappare un foglietto e consegnarlo a Emma, con tanto di numero, sarebbe davvero cosa buona e giusta, oltre che, ovviamente un'irrinunciabile cortesia.