Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

venerdì 27 aprile 2007

Manifesto per una serata mancata

di Johnny Strapcaz

bukkaker [bu'ka:ker]: persona allegra e gioviale, perlopiù di compagnia ma non fatelo incazzare o riverserà tutto se stesso su di voi. Non ha molte pretese intellettuali, ma gli piace leggere Henry Miller e guardare i film di Tarantino, anche se il suo film preferito è “Il seme della follia”, ma sa bene che anche gli artisti vanno in bagno almeno una volta al giorno. Non dice mai “cazzo!”, piuttosto “merda!” che è più democratico e sociale. È una persona qualunquisticamente impegnata.
Spesso lo trovate al portone del Ministero delle Politiche Agricole a sostenere la causa dei coltivatori di ananassi italiani.

wanker ['wæ:ŋker]: persona che puzza di chiuso. E puzzare è un reato. Ne risulta che è un criminale incallito, specie sulle mani. Sempre pronto ad intrattenerti con le ultime novità nel campo della noia, a lui non interessa che sia ascoltato o meno: coerente con le sue pratiche onaniste, egli basta a se stesso. Il suo film preferito è ”La finestra sul cortile”.
Non si conosce l’origine dell’essere wanker: alcuni sottolineano l’importanza dei geni, altri il contesto sociale. Altri ancora un eccessivo consumo di Teletutto in età scolare.
Soffre di gravi eruzioni cutanee su tutto il corpo se vede ballare qualcuno.

° ° °

Dallo Stato Libero degli Ananas arrivano al Centro Giovani di Monfalcone i Bukkakers, duo di (am)abili dj e vj. Unico obiettivo: far ballare. Già, ballare.
Ballare in mezzo alla pista, non accanto al muro. Dimenarsi con tutto il corpo, non battere il piede a tempo. Il tutto al ritmo della migliore elettronica da club, non quella che si ascolta da soli in camera, che comunque i Bukkakers amano e rispettano. Perchè c'è un tempo per l'introspezione e uno per la socializzazione.
Non a caso il motto della serata sarà “Meno Pudore, più Sudore”: tempo di abbandonare le inibizioni e lasciarsi andare.
Se il loro background culturale spazia dalle tartarughe Ninja ai calzini in spugna arrotolati alle caviglie passando per la Nintendo 8 bit, quello musicale vanta trascorsi tanto nella classica quanto nell’hardcore.
Questo, sentenziano i due, giustifica una playlist eclettica: il meglio (?) dell’elettronica anni ’80 e primi ’90 ben frullata con la minimal, il punk funk e l’electroclash degli ultimi anni.
Un tetris sonoro a cui va aggiunta la dimensione visiva del vj set con i video realizzati da Altree, collettivo di videomakers fortunatamente sconosciuto al grande pubblico, e mixati dai due Bukkakers con lo scopo di creare un’esperienza totalizzante tra musica e immagine.
Due gli ospiti d’onore: le telecamere di Al Jazeera per quella che già si preannuncia una performance esplosiva e StyleOne, incosciente sostenitore del duo, con il BeHappy Project point, progetto compatibile con il Bukkakers pensiero.
Quindi, ben tonificati e idratati – non crederete mica di stare fermi? – venite numerosi: sicuramente i Bukkakers regaleranno qualche perla di cui vi ricorderete a lungo.

venerdì 20 aprile 2007

Stanotte

di Dylan Iato

Audienda:
1) Yulunga – Lisa Gerrard
2) Now We Are Free – Lisa Gerrard
3) Dies Irae Dies Illa (vers di Wendi Carlos)
4) Dies Irae Dies Illa
5) John Mayer – Waiting On the World To Change
Stanotte. Stanotte si è spenta mia zia. 94 anni. Era ormai un albero. Piantumato in una casa di riposo a Barlassina, Como.
Era oramai completamente cieca. Mangiava pochissimo e quel poco, che le veniva imposto dai pazienti infermieri, la faceva sopravvivere.
Fino a stanotte. Ho visto un numero strano apparire sul telefono di casa. Era un 0362 alle undici di sera. Non ho risposto. Ho atteso che mio padre prendesse la telefonata. Poi è venuto da me, con gli occhi già lucidi e mi ha comunicato la notizia.
Stanotte pensavo di passarla come al solito. Tra una videata di Word, una mail e il telefonino che suona. Pensavo di ascoltare il nuovo disco di Lisa Gerrard, quella della musica del Gladiatore.
Non farò nient’altro che pensare alla zia. Per lei provavo una specie di lontano affetto misto a pena e compassione per la sua condizione. Ma no. Non era amore.
I suoi occhi piccoli e nascosti dietro alle lenti da fondo di bottiglia mi impaurivano quando ero piccolo e mi facevano sorridere fino a poche ore fa.
Ora penso alla sua morte. Penso alla sua esistenza, vissuta in punta di piedi là nella clinica geriatrica. Un dolore, il suo, così accennato e così lontano. Così orgogliosamente umano. Io ho solo da imparare da quel dignitoso portamento di donna consapevole di essere al proprio crepuscolo.
Io che rifuggo la morte. Io che ne rifuggo anche il solo pensiero.
Dovrei pensarci, invece.
Dovrei riuscire a baciare i morti, durante i funerali.
Almeno così si faceva pochi decenni fa, nelle società italiche e contadine, per dimostrare rispetto e deferenza. Si faceva così quando il mio bisnonno è morto. Roba da anni 60 o 50 al massimo. Me l’ha detto mio padre. Era terrorizzato all’idea di dover baciare il nonno morto. Eppure ha preso il coraggio dalle zolle della terra. Dalla forza di quei semplici valori, forse sbagliati, ma condivisi che rendevano la società contadina impaurita, ignorante, ma unita.
Mia madre ha visto morire in casa i suoi nonni. Ha visto il soffio vitale abbandonare la carne. Ha visto gli occhi spegnersi. Il cuore arrestarsi. Ha visto sputare sangue. Ha visto le cure risultare inefficaci. Ha visto la paura muovere labbra, devastare visi, muovere al pianto.
Io ho visto il bianco degli ospedali. L’odore dei camici sterilizzati. Dei guanti di lattice.
Un dolore, quello ospedaliero, declinato allo stesso modo, ci mancherebbe. Ma che i “sani” e i “vivi” tentano di allontanare. Nessun bacio alla morte. Solo qualche sguardo furtivo, quasi a lavarsi con un battito di ciglia occhi e coscienza.
Non si muore da oggi (ma repetita iuvant, anche stasera, suvvia)
Penso al “dies irae dies illa” che Kubrick ha usato in Shining e in Arancia Meccanica. Non ha più nulla a che fare con la versione originale e medievale del canto. E’ altro. In quest’interpretazione fatta dalla compositrice Wendy Carlos, una singola nota è fatta suonare per interi, interminabili minuti, nella medesima intensità sonora. Il risultato, diciamo così, è una pazzoide decostruzione dell’originale, inconfondibile melodia. Una decostruzione spinta fino alla completa distruzione della melodia medesima. Quando si studia canto o strumento ti insegnano, guarda caso, che prescindendo dalla melodia si finisce per procurare un’inafferrabile ma percepibile senso di angoscia. Nel caso della rivisitazione della Carlos c’è ben più di angoscia. C’è paura, terrore, mistero, incomunicabilità, morte.
Questo Dies Irae, nell’intenzione della compositrice, si proponeva di rappresentare l’allungamento artificioso della vita dell’individuo moderno. Che rifugge spiritualità, oltre all’idea di assoluta privazione, di buio senza forma né misura.
Un individuo moderno e ovviamente occidentale, così angosciato dalla morte e dalla fine che è disposto ad accantonare i propri vecchi. La propria memoria storica.
La propria enciclopedia (nel senso Saussuriano del termine).
Pur di non vedere, pur di non parlare, pur di non baciare. Morte.
Mi è arrivata una mail. Rispondo, faccio una telefonata e vado a letto.
Il cd della Gerrard spacca. Mi riascolto solo Now We Are Free.
Penso alla pietistica e plasticacea pubblicità della Barilla, al Gladiatore, che tutto sommato è un bel film, alla voglia di farmi un narghilè bello allegro.
E alla voglia di fermarmi. Di non scappare.
Verso l’una mi capita tra i tasti (del maus) un file mp3 veramente commovente. Sarà la situazione, sarà la stanchezza, sarà l’allegria da narghilè, non so, le lacrime vengono da sole.

6)Blind Boys Of Alabama – Old Blind Barnabas

lunedì 16 aprile 2007

Era una notte buia e tempestosa

di M. J. Canary

Una notte tropicale. Un temporale rabbioso in una notte tropicale. La luce andò via, mentre la nostra protagonista era intenta a consumare il suo frugale pasto di piselli surgelati. Mezzi bruciacchiati, perché dimenticati sul fornello. E ora cominciamo a inquadrare la nostra protagonista e cominciamo a capire che non sarà possibile annoverarla tra le eroine. Forse tra le antieroine. Dicevamo, la nostra p. cenava, in solitaria. Decise di aprire la tenda per poter sentire meglio il rumore della pioggia battente. All’improvviso calarono le tenebre nascondendo alla vista i pallini verde-nero. La pioggia da battente si fece scrosciante. Si udiva con chiarezza un rumore come di qualcosa che sbatteva. Sicuramente le finestre della casa accanto, lasciate aperte. Il vento faceva pericolosamente turbinare le palme del giardino. Illuminate a giorno dai lampi, come flash di fotografi eccitati la notte degli oscar. Polvere di pioggia cominciò a entrare dalla zanzariera tesa. P. decise allora di tirare la tenda, che si gonfiò, come una vela ripiena di vento. Tuoni carichi di ira funesta tormentavano il cielo sopra la mangiatrice di leguminose. Vicini. Vicinissimi. Troppo vicini. La nostra p. a quel punto si decise. Recuperò la sua affezionata candela alla cannella, che stava tattica sopra alla televisione, e si recò in cucina dove a tentoni cercò l’accendino. Una flebile luce rosa diede un po’di colore all’oscurità, ma venne subito neutralizzata dalla luce esterna che illuminò l’ambiente a giorno. A quel punto si ricordò della sua fetta di pane nella grigliatrice inerte. La recuperò bruciandosi medio (falangina), indice (falangina e falangetta), mignolo (falangetta) e con pane in una mano (quella scottata) e candela nell’altra, riguadagnò il suo posto al tavolo. Era come trovarsi su una nave con vento a forza 9, e il mondo che danzava tutto attorno. Anche le ombre danzavano, al ritmo delle oscillazioni della fiamma. La bottiglia, il bicchiere, disegnavano labili fluttuanti segni grigi sulla parete. Scoppiavano i tuoni. Con fragore. Esplodevano i tuoni. Brillavano. Davano un’insolita veste al paesaggio notturno. Era come se qualche aereo stesse bombardando il vicinato. Era rumore e colore. Colore e rumore. Su un sottofondo di uniforme liquido monotono frustare. Era insolitamente fresca, la casa. Con una piacevole corrente, innaturalmente naturale. Finì la sua pietanza bicolore e recuperò la sua traballante fonte di illuminazione. Il computer era acceso sul letto, suggeva energia dalla batteria, ma la connessione internet wireless era saltata. P. si sedette a gambe incrociate di fronte al suo portatile, aprì un nuovo file e cominciò a scrivere: “Era una notte buia e tempestosa.”

mercoledì 11 aprile 2007

Come sei

di Paco Zazzaroni

Sempre cammini un tappeto rosso di grazia
Baratti ingenuità simulata
Per un poco d'attenzione
A volte sorridi e il tuo sguardo indugia
Nel sottolineare un gesto, una parola.
Mai ti ho vista far torto

Alla Femminilità

martedì 3 aprile 2007

Epitaffi

di Giorgio Sorbona

Il critico letterario

“Vissi al cinque percento”
Disse Montale.
A me già parve
Peccato di ύbriς
Esser vissuto
Massimo al tre.


Giordano Bruno

Vissi per mano dei preti
Morii per mano dei preti
Questa la mia più grande bestemmia:
che da qualcuno avrò pur imparato.