Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

venerdì 30 novembre 2007

Dediscere

di Nepomuceno Sadda

Una giornata d’autunno. Stavo preparando lo zaino per la lezione pomeridiana di inglese. Squillò il telefono. Rispose mia madre. Ascoltai il suo parlottio per qualche minuto, piacevolmente rapito dall’intonazione melodica del discorso, evidentemente disinteressato al suo senso. Mia madre riagganciò e dopo qualche secondo si palesò sull’uscio della mia camera: “Ha telefonato la mamma di Nadia. Ha chiesto se ti piacerebbe passare da casa sua per confrontare i compiti prima della lezione”. Non chiedevo altro, ma finsi di accettare con riluttanza. Infilai giacca e zaino e corsi in strada. Mia madre aveva capito tutto, come sempre.

Amavo guardare Nadia, in classe, seduta composta a due banchi di distanza: quella era la misura della mia felicità: giusto due banchi, m’accontentavo di niente. Lei ricambiava le mie attenzioni con sorrisi. Sguardi con sguardi. Amavo sapere che i suoi occhi azzurri fissavamo me e nessun altro in quegli istanti. Quanto avevo fantasticato attorno a quegli occhi? Tanto da farne il centro del mio ingenuo universo.

Per la strada mi ritrovai ad osservare il cielo con un’accezione romantica che non conoscevo. Cumulonembi disegnavano draghi alati e là sotto la campagna intimorita s’acquattava tra i rovi. Un sorriso affiorava sulle mie labbra e non c’era modo di tenerlo a bada. Sorridevo di tutto mentre gustavo un nuovo sapore, come se, improvvisamente, le cose del mondo avessero manifestato una nuova essenza.

Con passo svelto raggiunsi il cancello di casa sua. Era aperto e proseguii rapido verso la porta d’ingresso. Sua madre mi salutò, ricambiai imbarazzato e mi relegai nel silenzio…già mi accompagnava verso la camera di Nadia, tenendomi una mano sulla spalla.

Lei era lì, seduta sul letto. Indossava un maglione bianco candido e una gonnellina scozzese dalla quale sbucavano piccole gambe aggraziate coperte da collant bianchi altrettanto candidi. Sua madre ci lasciò soli. Con slancio vitalistico iniziai a parlare della scuola, dei professori, della verifica di matematica e di altri argomenti correlati. Discutemmo per una decina di minuti, cercando di vincere la reciproca titubanza. S’incrociarono più volte i nostri sguardi e dietro quegli specchi azzurri non potevo non leggere una nuova consapevolezza. Lei giocava, facendo svolazzare con la mano un lembo della sua gonnellina. D’un tratto scostò leggermente una gamba di lato, sollevò giusto un poco di più la gonna e per un istante intravidi le sue mutandine: bianche com’erano bianchi i collant com’era bianco il maglione che però non percepivo più candidi: mai più lo furono. Fu allora che davvero cambiò il mio mondo. Non fantasticai più attorno ai suoi occhioni azzurri. Due banchi di distanza mi sembrò una misura inadatta per la felicità. Mi avvicinai e poggiai le mie labbra sulle sue. E fu così che disimparai l’amore.

lunedì 26 novembre 2007

La giusta moneta

di Florian Alexander


Ogni cosa in questo Mondo
Ha la sua moneta.
I Sogni si pagano con l’Incoscienza,
La Sicurezza con la Libertà,
L’Uguaglianza nella stessa maniera.
L’Amore si salda col Tempo,
Gli Ideali con il Sacrificio,
E la Conoscenza col Dolore.

giovedì 22 novembre 2007

Facilità

di Ezechiele Lupo

Un blitz facile facile
Imperla la fronte di sudore
Divide l’olio dall’acqua
L’isola dal mare

Un’immagine facile facile
Divide la leggerezza dal groviglio
Il sudore dalla gamba
Asciuga il fiore dalla pioggia

Un risorsa facile facile
Insiste e finisce
Divide e moltiplica
Si spoglia tra le lenzuola

Appende la piuma
Chi scinde la mente

venerdì 16 novembre 2007

L'uomo sul trampolino (ultima parte)

di Tobia Deruna

Il suo corpo è più rilassato, i lineamenti del suo volto meno rigido. L’uomo sul trampolino ritorna alla sua apatia.
L’aria è smossa lentamente dai moscerini. L’uomo sul trampolino riprende ad aspettare. I minuti, forse ore, forse giorni riprendono a trascorre lenti, senza fretta…
Di colpo nuovamente l’uomo sul trampolino si ridesta dal suo torpore. E’ preso da un sospetto tremendo. Corre verso la punta del trampolino. Il suo sguardo si getta verso il basso, verso il vuoto.
La piscina e la sua acqua laggiù ora sono lontanissime, quasi invisibili. I volti del pubblico sono puntini indistinguibili. Quanto si è alzato il trampolino, mentre lui aspettava? Quanto si è allontanato da laggiù, dall’acqua placida e calma della piscina?
Quanto si è allungato il vuoto che lo separa dal resto del mondo mentre lui aspettava, rifiatando, minuti, forse ore, forse giorni? Riuscirà più l’uomo sul trampolino a gettarsi, a buttarsi nel vuoto, a superare quella paura che più il tempo passa e più si dilata?
L’uomo sul trampolino e là fermo sul trampolino e domande come queste affollano la sua testa.
Vorrebbe saltare ma un enorme paura lo blocca e quindi lui aspetta. Aspetta silenzioso minuti, ore, forse giorni…


Nessuno sa se l’uomo sul trampolino si sia mai gettato nel vuoto. Nessuno lo ha più visto quando le nubi hanno incominciato ad avvolgere il trampolino.

Fine

sabato 10 novembre 2007

L'uomo sul trampolino (seconda parte)

di Tobia Deruna
Di colpo l’uomo sul trampolino si ridesta. Quanto tempo è passato? Perché lo ha lasciato passare? Quanti minuti, ore, forse giorni sono passati?
L’uomo sul trampolino non sa dirlo.
Non sa dire quanto tempo abbia perso lassù nell’inazione più completa.
Perché si è compiaciuto nel rimandare e rimandare quel salto fondamentale? Perché ha deciso di non affrontare l’emozione di quella prova ed ha atteso tanto?
L’uomo sul trampolino non sa darsi una risposta. Sa solo che ora non può più rimandare il fatidico momento.
Sa che ora dovrà vincere la sua paura, la sua emozione e librarsi leggero nel vuoto, fuggendo da quella torre d’avorio in cui è rimasto rinchiuso minuti, forse ore, forse giorni. Dovrà rompere quella bolla di cristallo che lo ha tenuto prigioniero tanto tempo.
L’uomo sul trampolino si dispone al salto. Il suo corpo ora è di nuovo teso. Il suo cuore ha ripreso a battere in maniera concitata. I suoi muscoli sono di nuovo tutti contratti.
L’uomo sul trampolino pensa che dovrebbe trovare la forza di saltare così, semplicemente, senza pensarci. Uno, due, tre e spiccare il volo.
L’uomo sul trampolino incomincia a contare dentro di sé. Uno…Due…Due e un quarto…Due e mezzo…Due e tre quarti…T…
E invece no, ancora quell’incertezza, ancora quella tensione, quel pensiero fisso e terribile del vuoto.
L’uomo sul trampolino non riesce. Sente di non riuscire. Di non potere riuscire.
Eppure sa che deve riuscire, non può non riuscire.
Non ha altra possibilità che riuscire.
Ma come?
L’uomo sul trampolino si guarda ancora attorno, lento. I suoi occhi ruotano nello spazio circostante. Guardano in alto, in basso, di lato. I suoi piedi si muovono lenti verso la punta del trampolino.
E d’improvviso l’uomo sul trampolino si accorge di una cosa strana. Gli sembra che l’altezza del trampolino, mentre era assorto, mentre lasciava passare senza fretta i minuti, le ore, i giorni sia aumentata, raddoppiata, moltiplicata.
Gli sembra che i volti degli spettatori rivolti laggiù verso di lui si siano fatti lontani, lontanissimi, irraggiungibili.
Gli sembra che l’acqua della vasca sia mille volte più lontana di prima.
Il rettangolo della piscina pare diventato più piccolo laggiù.
Ma l’uomo sul trampolino ora non vuole pensarci. L’ansia di un attimo fa si è allentata. Il suo respiro si è fatto più regolare. I suoi muscoli sono più distesi. Le gocce di sudore che imperlavano la sua fronte se ne sono andate con l’aria.
L’uomo sul trampolino ora è di nuovo, all’inizio del trampolino con lo sguardo perso nel vuoto.
(continua...)

lunedì 5 novembre 2007

L'uomo sul trampolino (prima parte)

di Tobia Deruna

L’uomo sul trampolino.
L’uomo sul trampolino è appena salito sul trampolino. Ha percorso lento l’asse flessibile sino alla punta. Sotto di lui l’acqua pulita e immobile della piscina.
L’uomo sul trampolino è fermo. Là, sulla punta del trampolino. L’uomo sul trampolino è al suo primo vero tuffo e si sente piuttosto teso. Ogni suo muscolo è contratto. Sotto di lui vede l’enorme pubblico silenzioso, in attesa.
L’uomo sul trampolino si guarda intorno. Il suo respiro è lievemente affannato. Forse l’uomo sul trampolino ha un po’ paura.
Oppure non ha paura, ha solo poco coraggio. Il che forse è la stessa cosa, ma in ogni caso l’uomo sul trampolino non saprebbe dargli un nome..
L’uomo sul trampolino si guarda nuovamente intorno. Guarda la vasca in basso, guarda gli spettatori, piccoli puntini a testa in su.
L’uomo sul trampolino sa che deve buttarsi, ma vuole aspettare ancora un secondo. Gli occhi degli spettatori in basso sono rivolti tutti verso di lui. Ma l’uomo sul trampolino la in alto è ancora fermo. Il suo volto è indecifrabile. Il suo corpo è flesso come quello di un atleta antico. I suoi occhi roteano lenti tutt’intorno, come a studiare ogni angolo della minuscola asse che lo sorregge.
Perché è salito fin lassù? - si chiede forse l’uomo sul trampolino. Cosa l’ha spinto ad arrivare là in alto? L’uomo sul trampolino non sa darsi una risposta. Tutto ciò che sa è che ormai non può più tornare indietro. Sa che l’unico modo per scender da lassù è librandosi, gettandosi nell’aria lieve che accarezza la sua pelle, che sibila sotto il lieve frusciare dell’asse flessibile.
L’uomo sul trampolino guarda di nuovo davanti a se. Vede il vuoto. Il vuoto carico di tante minuscole particelle d’aria, molecole d’ossigeno invisibili, impalpabili eppure sempre presenti.
L’uomo sul trampolino pensa che dovrebbe prendere una rincorsa. Dovrebbe ritornare indietro, ritrovare la convinzione e ripartire. Ma l’uomo sul trampolino non riesce a fare neppure quello. I suoi occhi sono persi nel vuoto davanti a sé e si muovono lentissimi come a misurare i contorni di quel microcosmo che lo contiene.
Ora però il respiro dell’uomo sul trampolino si è fatto più tranquillo. L’uomo sul trampolino esamina e riesamina lunghezza, forma e consistenza di quel pezzo di legno sospeso nel vuoto che lo isola dal resto del mondo.
Il suo corpo ora è più bilanciato. L’uomo sul trampolino sta rifiatando.
I suoi piedi incominciano a muoversi piano in senso inverso, verso l’inizio del trampolino.
La tensione di prima si è allentata.
L’uomo sul trampolino lentamente torna all’inizio del trampolino, là dove il trampolino si congiunge alla scaletta. I suoi occhi si muovono ancora lenti a misurare lo spazio intorno a sé.
L’uomo sul trampolino sembra non avere più fretta.
La concitazione di prima sembra sparita. Il pubblico dal basso rimane in silenzio e osserva l’atleta che arretra.
L’uomo sul trampolino lasciare passare i secondi, forse i minuti, forse le ore. L’uomo sul trampolino ora è lì fermo, all’inizio del trampolino. Forse non si rende conto del tempo che passa. O forse semplicemente non riesce a quantificarlo. Forse minuti, forse ore, forse giorni.
L’uomo sul trampolino sa che deve buttarsi, ma crede che non sia ancora il momento.
O forse s’illude semplicemente che i minuti, le ore e i giorni, che il tempo potrà scacciare la sua paura di librarsi nel vuoto.
L’uomo sul trampolino sembra non avere più fretta. Il suo sguardo è perso nel vuoto.
Solo il ronzare dei moscerini incrina il silenzio. Solo l’aria tiepida muove leggera i capelli dell’atleta.
L’uomo sul trampolino aspetta…

(continua...)