Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

venerdì 27 febbraio 2009

Chitra Banerjee Divakaruni - Il palazzo delle illusioni


di Ezechiele Lupo


C’è una cosa che accomuna The Millionaire, il film-evento firmato Danny Boyle, e l’elegante libro di Chitra Banerjee Divakaruni Il palazzo delle illusioni: il destino. E non parliamo di fortuna presso il pubblico (abbondante soprattutto per Boyle), quanto di predestinazione e di caso.
The Millionaire si snocciola a memoria: un ragazzo nato nella baraccopoli di Bombay, dopo anni più che avventurosi durante i quali “il caso” si intreccia, nel bene e nel male, con il libero arbitrio, diventa milionario partecipando ad un popolare quiz televisivo. Ne Il palazzo delle illusioni il racconto si dipana attraverso un percorso tortuoso quanto quello dello slamdog di Boyle, ma con la significativa differenza che il caso diventa predestinazione e il libero arbitrio della protagonista non fa altro che assecondare, inconsciamente, ciò che è già scritto.
La bellissima principessa Panchaali, la donna più amata e odiata dell’epica indiana, è il protagonista e il narratore intradiegetico del racconto della propria vita, che poi non è altro che una parte del Mahabahrata, il libro sacro, mitico e genealogico dell’India. Questa è probabilmente l’intuizione più interessante della scrittrice indiana: modificando il punto di vista, l’autore attua una vera e propria riscrittura dell’opera sacra, col vantaggio di poter liberare nel racconto nuove linee narrative e nuovi possibili percorsi di trama, i quali, solo per essere nominati e presi in considerazione, creano molteplici stratificazioni del discorso e della storia. Conosciamo così le frustrazioni e le gioie che la principessa vive a causa del suo (presunto) carattere ribelle e volitivo, della sua indole critica nei confronti del reale, al limite del femminismo ante litteram. Non sono rare le riflessioni sulla condizione della donna, ancorché principessa, costretta a subire le decisioni degli uomini, del padre re Drupad e dei mariti; sebbene lei sia l’unica donna a cui il destino abbia concesso di sposarne ben cinque. Ma la Storia non si cambia con i racconti di finzione e Panchaali non riuscirà a sovvertire quello che è già scritto nel Mahabahrata. D’altronde non è questa l’intenzione dell’autore: la Divakaruni non stravolge le tradizioni millenarie, ma le umanizza, le soggettivizza attraverso il suo narratore, cercando di consegnare al lettore occidentale tutto ciò che di moderno conserva il libro sacro. Appare così chiaro come nelle azioni di Panchaali, tutte o quasi tese alla confutazione del proprio destino, ogni cosa concorra in realtà al compimento di quello stesso destino. Se il ragazzo di The Millionaire è preda del caso, del più sfortunato, ma anche del più fecondo, lo stesso vale per la protagonista de Il Palazzo delle illusioni. Che sia attraverso un quiz televisivo, o il mitico Mahabahrata, nell’epoca della post-modernità tutto è già scritto e già raccontato. Ma forse l’unica cosa che può ancora sconcertare è, paradossalmente, il valore più immediato: quello dell’identità.
La voce di Panchaali ridefinisce non solo la propria identità, attraverso il racconto in prima persona, ma anche quella della memoria comune e millenaria, infrangendo i confini tra cultura e soggettività: come in un quiz televisivo, in cui ogni cosa si ricompone lungo il percorso della Storia.


Chitra Banerjee Divakaruni, Il palazzo delle illusioni, Einaudi, Torino, 2008, p. 416, euro 19,50.

lunedì 23 febbraio 2009

Intimità

di R. Castoro

Finestra aperta
Giravolta del rubinetto del gas
L’aria è in fuga
Fra una stagione e l’altra
Illusione di movimento, crepuscolo del tempo
Ho lavato un pigiama che ora piange su una sedia
Ho delle uova sul fuoco che soffrono
Ma no, scottano e basta
E le gocce del pigiama
Sono le gocce d’olio sulla brace
Ho lacrime sul divano
Olio caldo fra gli occhi
Ho un po’ di vento fra le dita
Che scoppietta come uova sul fuoco
Gusci abbandonati sul marmo
E poi nel cesto
Bollenti di ciò che non furono
Precipitano mossi da un paio di mani
Cadono come chi getta
Ho un divano sporco ammaccato di lacrime
Colora il pigiama sbiadito di acqua
Grigio natura morta
Che nasconde un calzino inguaribile
Steso sfoglio
Ho anche un libro
Che non finirò.

martedì 10 febbraio 2009

La passante di Baudelaire

di Nepomuceno Sadda

La passante graziosa
Gronda Primavera dall'orlo
Della gonna fiorita.

Ed io m'incanto
A ricamarle addosso
Un'intimità
della mia misura.

E' un soldato di ventura,
Il sentimento.
Si fa scudo la Bellezza
Ed aspetta il suo schianto.

Che arriva,
E schegge di Maggio tracciano segni nell'aria,
E c'è la nostalgia dei passati amori,
E la speranza di nuovi,
Nella loro convettiva danza, e insomma:
La passante è già lontana, perduta
Ma non importa.
Davvero, non importa.