Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

mercoledì 26 dicembre 2007

Quarta lettera di Ezechiele Lupo al Giudice sul mulo – La festa dei personaggi-lettori

Carissimo Giudice sul mulo,
come avrà notato le mie lettere sono state molte meno di quante sia io sia Lei ci potevamo aspettare, quando esattamente un anno fa Lei faceva nascere questo spazio. Ricordo perfettamente il momento in cui (Lei me lo ha raccontato più volte, o forse io l’ho immaginato tante volte quante avrei voluto che Lei me l’avesse raccontato) un’idea tanto bislacca Le venne in mente: mi disse che si trovava in Turchia (o forse in Iraq) e sotto le mentite spoglie di un miniaturista cranico, cercava di mascherare con simulazioni e dissimulazioni la Sua vera identità, della quale ormai tutti sono venuti da tempo a conoscenza. Mi raccontò dell’incontro con quel commediografo tedesco M. N. Tugennov, di cui, tra parentesi, su Suo consiglio, ho appena terminato di leggere l’ultima versione dell’ultima commedia edita in vita (sì, caro giudice, proprio quella in cui il protagonista si finge autore di una lettera, ed in questo modo sposa la figlia di un commediografo tedesco, ma, scoperto, fugge in Iraq (o in Turchia), dopo essere stato cooptato dall’Iran quale spia del regime), e del vostro dialogo avvenuto sulle rive del Corno D’oro, proprio di fronte alle Piccole Isole. Ricordo il racconto della Sua fuga e della morte del povero autore: inseguiti dal controspionaggio saudita Lei e Tugennov, dopo esservi tuffati nel lago avete nuotato fino all’altra sponda, sotto i colpi secchi e nitidi dei proiettili che si inabissavano. Raggiunto il villaggio più vicino, ricordo, avete incontrato il Bibliotecario Nahro che vi ha offerto protezione, cibo e la possibilità (tremenda, incredibile, terrificante) di scegliere un libro a testa della sua biblioteca circolare, ordinata da “Infinito-A ad Infinito-Z”. Vi bastò poco per accorgervi che le storie all’interno delle opere non corrispondevano ai titoli: il Principe Miškin non era un idiota ma un feroce capitano di vascello, mentre non c’era nessuno strano caso che riguardasse il dottor Jekyll. Eppure, così mi raccontaste, pur mancando una referenza tra i personaggi e le azioni, pur essendo stato infranto quell’orizzonte d’attesa che Lei e Tugennov possedevate nei confronti di quei libri, quegli intrecci così diversi dagli “originali”, raccontavano le stesse storie degli “originali”. I racconti “parlano” sempre di quattro cose: Razionalità, Memoria, Leggerezza e Letterarietà. Lasciata la Biblioteca di Nahro, passaste, se ricordo bene, per il Ponte Capovolto: è lì che Tugennov mostrò la sua vera natura. M. N. Tugennov fu troppo pavido per continuare con lei la fuga, e pensò ad un ritorno. Vi salutaste e vi scambiaste quei due preziosi oggetti in segno di un’amicizia eterna. Purtroppo (so dai Suoi racconti o giudice) Tugennov, capovolta la strada, non riconobbe il ritorno e fu subito catturato dal controspionaggio e processato. Di lui non si seppe più nulla. Il Giudice sul Mulo, che è Lei, offre una Possibilità (che è poi quanto di più vicino ci sia ad una Scelta): leggere e ri-scrivere finzioni, oppure, leggere e ri-scrivere di finzioni. In un anno io, Dott. Ezechiele Lupo, pur con enormi (insormontabili direi) difficoltà ci ho provato, e con me tutti quei personaggi/ri-scrittori che hanno contribuito alla fortuna di questo Suo spazio, e dei suoi 25 lettori, che ereditiamo da Alessandro Manzoni. Questo volevo dirLe. Questo è quello che ricordo. Ma forse, ripeto, mi sbaglio. Sbaglio tutto. Forse l’idea di questo spazio, Le è venuta dopo il pranzo di Santo Stefano dello scorso anno, tra i fumi dell’alcool?
A presto.
Un abbraccio, caro Giudice sul mulo

Il Suo,
Ezechiele Lupo
Dott. Ezechiele Lupo
Medico Virologo
Schöneberger Ufer 75,
D-10785 Berlin, Deutschland.

Il Dottor Lupo riceve dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 17.30 nel suo studio in Charlotenstraße 39.

lunedì 24 dicembre 2007

Il contrario della polvere

di Ezechiele Lupo

Il contrario della polvere
Il riflesso abbassato della cima
Il nome in comune
Decide chi parla con le parole

Il contrario del nome
Il riflesso in comune
Scrive chi decide di parlare

L’incerto dell’attesa
Il coperchio della china
Si rompe nel contrario

Il riflesso nello schermo
Abbassa l’apertura delle ali
E schiude la mano.

La verità è il rovescio del foglio

sabato 22 dicembre 2007

Glossolalia del dolore

di Norberto Giffuri

Il male s’affossa in un punto
A spire s’attorciglia
Poi s’incunea
Come coda di scorpione
Dunque punge
Squarcia il costato
Nella gola uno schianto
Glossolalia del dolore

Il male oscuro
È questione di un momento
Tempo non concede
Per ragionare un pianto

mercoledì 12 dicembre 2007

La compassione di Cristina - ultima parte

di Nepomuceno Sadda

Poi un giorno quando credevo che, insomma, sì, credevo che l'avrei baciata da un momento all'altro...un giorno mi disse “Sai, questo weekend mi sono trovata un ragazzo!”. Se ci fosse stato silenzio nell'aula avreste sentito il rumore, crack, del mio cuore che si spezzava.
Ma non mi persi d'animo, non morì la mia speranza. Continuai a vederla, cominciammo ad uscire la sera, al cinema, il suo ragazzo non c'era e io fingevo che lei fosse mia soltanto.

Venne l'estate e ci separammo, lei in Spagna, io a rincorrere i miei stupidi sogni in giro per l'Italia. Le scrissi tre cartoline, lei solo una. Mi bastò. Torno l'autunno, ripresero i corsi. Ci rivedemmo, ricominciò la nostra routine. Ma qualcosa era cambiato. Mi abbracciava, mi telefonava spesso, mi chiedeva di andare al cinema, a teatro. Venni a sapere che aveva lasciato il suo ragazzo. La speranza che in quei mesi aveva atteso sottocenere ora ardeva vivida e vigorosa.

E poi capitò che la baciai, un pomeriggio che eravamo saliti tra le guglie del Duomo..ma poi forse mi confondo…l’avevo baciata mille altre volte: sulla spiaggia, sotto i portici, seduti al parco, davanti alla porta dell’aula, sulla ruota panoramica, sulle scale di casa sua, sul balcone di casa mia, sull’altalena, dietro la siepe, sul treno, in auto, nel prato… l’avevo baciata fin dal primo giorno, proprio lì, tra gli scaffali della biblioteca e l’avevo baciata ogni notte per più di trecento notti.
Una sera, mentre passeggiavamo sul lungolago, mi prese a braccetto e si confidò: “Hai atteso per tanto tempo, mi sei sempre stato accanto, ho capito che avresti fatto qualunque cosa per me…ti vedevo solo, triste a volte, sfiduciato e mi facevi così pena…poi, ricordi questa estate? Per due mesi non ci siamo visti…e ho compreso quanto fossi importante per me…”.
La baciai di nuovo, con forza, profondamente, stringendola per le spalle e inarcandole la schiena, con una irruenza che non mi conoscevo.

Fu durante la notte che capii. Compresi le ragioni del mio impeto: non era amore ma rabbia. Non ardore né sfrenata passione ma il manifestarsi di una lacerante consapevolezza. Ripensai alle sue parole, e mi facevi così pena, le giravo e rigiravo nella testa, ho capito che avresti fatto qualunque cosa per me…ecco il punto, l’improvvisa, inopinata verità dei fatti: l’avevo presa per sfinimento, per compassione.
Quella notte smisi di amarla.
Fine

lunedì 10 dicembre 2007

La compassione di Cristina

di Nepomuceno Sadda


La vidi per la prima volta in biblioteca. Leggeva un libro seduta in una posizione insolita, una gamba sollevata fino a trovare un appoggio sulla sedia e l’altra accavallata penzolante di lato; il gomito destro puntellato sul tavolo, la mano che reggeva il mento, la piccola testa leggermente inclinata e quei riccioli biondi che cadevano tutto intorno celando parte del viso. Mi sedetti dirimpetto, a due file di distanza. Non studiai. La mia concentrazione cedette all'assalto della sua bellezza. Prima d'allora avevo pensato al colpo di fulmine come eventualità probabile solo in una steppa spoglia d'alberi, in totale assenza di barriere architettoniche naturali e durante un fortunale. Quel giorno mi convinsi che era possibile anche in una biblioteca universitaria.

Fu grande la sorpresa quando la rividi a lezione. Frequentavano entrambi il corso di Estetica. Una meravigliosa coincidenza. Non era facile avvicinarla nella bolgia delle prime lezioni del semestre accademico. Riuscii finalmente a sedermi strategicamente di fianco a lei solo due settimane dopo. Ricordo ogni tentativo non riuscito come se fosse ieri, anzi, come se fosse oggi. Ma non voglio tediarvi con la cronaca dei miei insuccessi. Concentriamoci ora su quella mattina d'autunno che, sì, per la prima volta le sedevo accanto.

Inaspettatamente mi rivolse la parola. Se così non fosse stato probabilmente sarei ancora piantato su quella sedia in attesa del momento giusto, ragnatele sulla schiena e polvere nei capelli. Davanti a me, sul banco, avevo appoggiato un libro di Boris Vian, mio diletto in quel periodo di castelli in aria. Le sue labbra carnose che tanto anelavo mi porsero queste parole “Conosci Vian? Adoro La schiuma dei giorni, l'hai mai letto?” Certo, l'avevo letto. Che l'avessi fatto o no poco importava, in tutta sincerità non rammento se lo lessi prima o dopo quell'incontro, ma in quell’ istante era cruciale affermare baldanzosamente di averlo trovato splendido e poetico ed emozionate e aggiungete formule d'elogio a vostro piacere.

Fu così che la conobbi. Da quel giorno le tenni il posto a lezione. Per evitare di trovare tutte le sedie occupate modificai i miei orari. Sveglia anticipata, treno diretto per Milano invece del solito catorcio per pendolari patologicamente in ritardo e posizionamento in pole position davanti alle porte dell'aula prima dell'apertura. Venne dicembre e il corso terminò. Così, oltre agli orari, modificai il mio piano di studi per ritrovarla il semestre successivo. Quanto fu penoso, tormentato, quel gennaio senza lei. Quando la rividi, sorridente davanti all'aula, alla ripresa delle lezioni, poco ci mancò che mi le mie gambe subissero un cedimento strutturale. E furono ancora i suoi riccioli biondi, le sue labbra carnose. Poi vennero le pause pranzo trascorse insieme e le passeggiate per una Milano che la primavera riusciva quasi a far bella.

Parlammo di amicizie sfiorite, dei giochi dell’infanzia, di viaggi mai intrapresi, di genitori invadenti, delle cicatrici dell’amore, dei nostri miti, della routine della vita, degli interessi abbandonati per cause di forza maggiore, dei nostri risparmi bancari tendenti allo zero, dell’ultima volta che scoppiammo in pianto e dell’ultima che ci ubriacammo, del senso di libertà di una passeggiata in un bosco, di quanto fossimo fortunati ad essere universitari smidollati, di occasioni sprecate e di perle ai porci, di personaggi per i quali l’ostracismo sarebbe da ripristinare, della sonnolenza della domenica pomeriggio nella provincia cattolica, di abbracci insinceri, di quella volta che…, di peripezie automobilistiche, delle mie escursioni solitarie e di egoismo, delle nostre aspirazioni, della volontà di fuga, degli esami universitari incombenti, delle abitudini sessuali dei greci, di cieli plumbei e di metereopatia, di serate buttate in stupidi locali, di sapori mediterranei, di matrimoni affrettati ed insomma dei nostri passati remoti e prossimi, dei nostri presenti e dei giorni futuri, del nostro modo di spiare il mondo dal buco della serratura.
(continua...)

martedì 4 dicembre 2007

Pensava al risotto

di Nepomuceno Sadda

“Stanotte ho avuto un incubo.”
“Racconta su!”
“Hai presente un labirinto?”
“Siepi o muri di cemento?”
“No cemento…nemmeno siepe…bianchi di plastica parevano…comunque non è importante per il proseguo della fabula.”
“Tu dici? Potrebbe essere importante.”
“Davvero? Comunque c’è questo labirinto. Lo osservo dall’alto, ho una visione totale, divina, direi. Dentro ci sono delle persone. Non riconosco i loro volti ma so che mi sono care…”
“Senza sapere chi sono?”
“Sì, te l’ho detto. Lo so e basta. Sono intrappolate e disperatamente cercano l’uscita. Corrono, s’affannano, inciampano, sbattono una contro l’altra…piangono e urlano e io sono lontana e non posso fare nulla.”
“Fine del sogno?”
“No. Ti ho detto che il labirinto non ha uscita? Io lo so, lo vedo, ma loro no, sperano, e la speranza li costringe a vagare incessantemente, senza posa, eternamente…voglio dire loro la verità, che non c’è via, non c’è uscita ma la voce mi si smorza in gola…non esce che un grido rauco…e poi mi sveglio.”
“Fine del sogno?”
“Ti ho appena detto che mi sono svegliata.”
“Magari era uno di quei sogni ricorsivi, quelli che sogni di svegliarti ma sei in un altro sogno…”
“No, sono estranea a queste finezze, io.”
“Beh, e qual era la tua sensazione al risveglio?”
“Disagio e impotenza.”
“Ecco, sai succede anche a me di sognare cose così: intendo situazioni nelle quali sono impossibilitato ad intervenire da forze di causa maggiore…il senso di disagio non nasce dalla mia inadeguatezza o dalla mia incapacità di cambiare le cose…no, è dovuto alla logica perversa del sogno…l’impotenza è imposta da una volontà suprema alla quale devo sottostare…mi ritrovo in balia degli eventi e non posso agire per ragioni che dipendono da un oscuro disegno del cosmo, non dalla mia volontà…”
“...oh Gesù, tu dopo un incubo ti costruisci la tua bella filosofia?”
“Beh, che c’è di strano?”
“Io ho solo pensato al risotto della sera prima e che forse non l’avevo digerito. Così mi sono alzata e ho preso la citrosodina.”
“Siamo diversi insomma. Io sono tutto pensiero, tu tutta azione.”
“Questo comporta qualcosa?”
“Probabilmente avremo in futuro qualche problema di comunicazione. Ci muoviamo su piani differenti, forse sarà difficile rimediare se mai ci fosse una crisi.”
“Oh caro, ma io so come puoi rimediare…”
“Come?”
“Comincia col baciarmi.”