Umore Nero
Quel giorno si svegliò particolarmente inquieto. E non era solo il cielo plumbeo e lacrimante in piena primavera, naturalistica smentita ad ogni allarmismo sul riscaldamento globale. No, non era perché avrebbe voluto passare per le mani, in sequenza, Al Gore e un pinguino. L’inquietudine emergeva da pozzi più profondi, e atteneva a ciò che di più bello Ludvig credeva di aver ottenuto: la sua donna, una scrittrice francese, delicata, bionda e azzurrissima. Così, secondo gli usi consueti, si segregò nel suo ufficio per sezionare l’inquietudine e individuarne le eterogenee eziologie. Come accennato, scarsa incidenza avevano Al Gore, il signor B, gli amici mafiosi del signor B, il conflitto di interesse del signor B, il signor B premier, il signor B imputato e assolto, i figli del signor B, la crociata antianimalista decisamente orientata verso Umberto Bossi e i pinguini.
La domanda covata dall’inquietudine era: “Perché lei, che potrà divenire la compagna della mia vita, non mi prende in giro? Perché la mia donna utilizza sorrisi, sguardi e silenzi, in luogo di sincere risate che abbiano me come oggetto di scherno?”. E allora, mentre declamava queste parole con tono stentoreo davanti lo specchio del suo ufficio, la memoria scivolava ai suoi complimenti, sempre equilibrati, alle conversazioni sul cinema, sulla Parigi del Pantheon, sul perché Bertolucci le facesse “schifo”, così “lascivo” senza ragione. Eppure su Bertolucci aveva avuto da ridire, Ludvig, ma la sua bocca (maliziosa grazie ad una innata innocenza) lo aveva convinto perfino ad odiare la propria madre. O forse a volerle bene, non ricordava.
In ogni caso, con la mente eccitata da una tale orgia di pensieri, si fiondò verso casa dell’amante -un appartamentino niente male sul corso bohemien- con la sola esigenza di ululare i suoi dubbi.
“Perché non mi prendi in giro?” Strillò ansimante, appena giunto sotto la finestra. Silenzio. Ancora silenzio. “Perché non mi trovi divertente? Perché non dissacri me, la mia andatura incerta, i miei vuoti di memoria, il fatto che non sappia cucinare neppure un riso pronto? Silenzio. “Non dico di costruire la tua esistenza sui miei limiti, ma annullarli ed ignorarli lo trovo decisamente offensivo”. Finalmente la finestra si dischiuse.
“Certo sei strano – rispose lei con un sorriso timido ma risolto – arrabbiarti perché non condivido il tuo umorismo! Che, del resto, avevo sempre stimato un po’ perverso”
“Ti sbagli! Non si tratta del mio umorismo. Qui si parla di vita e di morte. Qui si decide se prendere sul serio cose che serie non sono per nulla, oppure cedere e vedere, con la lente di una risata, la natura di tutto.”
La ragazza, piccola ma rigorosa, non mascherò più la sua insofferenza: “Quante parole inutili. Credi davvero di aver capito tutte queste cose? Va bene, forse le hai capite, ma allora di me non hai intuito niente. Avrei dovuto prestare ascolto alla mie amiche, quando dicevano che sei troppo egoista. La nostra storia, che sarebbe meglio definire un semplice episodio, finisce qui.”
Ripensando minuziosamente alle amiche di lei, Ludvig si convinse che “egoista” doveva certamente essere un complimento, seppur fra le righe. Chiusa la finestra della donna che credeva di volere (e che da allora tornò a desiderare) si mosse cogitabondo verso casa. Il passo indifferente velava una solida lastra di ghiaccio in rapido scioglimento, che concepiva acqua su acqua, liquidi su liquidi, saturando la mente di Ludvig con fiumi di pensieri diversissimi. Fino alla nausea. Lungo il corso, la sua attenzione venne rapita da una scarpata scoscesa che divideva la strada a metà. Buio e, forse, molto in fondo, un po’ di fanghiglia.
D’improvviso, un anziano passante dall’aria familiare che, verosimilmente, aveva assistito alla conversazione, lo incalzò: “Che combina giovanotto?”
“Come? Oh niente” rispose Ludvig, cercando di depistare, imbarazzato, il tono oggettivamente colpevole.
“Sai, raramente mi capita di parlare con gli estranei, ma questa volta farò un eccezione. Intendiamoci, non perché il tuo caso susciti particolare compassione; solo perchè lo scambio di battute fra te e la tua amica mi ha dato conferma di una teoria che ho elaborato poco tempo fa.
Vedi, gli amanti si dividono in due categorie: quelli che vogliono condividere un pezzo di esistenza con un altro essere vivente per dare il meglio di se, per dimostrare le proprie qualità, la propria forza, il proprio coraggio, e quelli che, di contro, cercano un’ansa sicura dove poter esibire il peggio di se e vederlo, finalmente, accettato. Al primo gruppo appartiene, secondo la definizione del poeta, l’ homme de la nature et de la veritè. Si tratta di uomini d’azione, sicuri come tori dei propri scopi, pronti anche a fermarsi e pascolare (ma mai a cambiare strada) laddove un muro di convenzioni naturali dovesse bloccarli. I secondi, più simili ai topi, costretti a deviare dinnanzi a un muro (convinti come sono che due per due non faccia necessariamente quattro) navigano nel caos dell’esistenza e, il poeta, li definiva uomini dalla consapevolezza potenziata. Ovviamente non ci sono formule risolutive, ma è lecito domandarsi retoricamente: che cos’è meglio, una felicità a buon mercato oppure un’eletta sofferenza? Pensaci giovanotto, e non risolvere tutto con un banale tuffo”.
“Ma chi era il poeta?” Domandò Ludvig stordito.
“Si chiamava Fedor, giovanotto” Concluse il vecchio, oramai prossimo a perdersi fra i fumi chiari delle nebbie “E secondo molti critici è stato il vero fondatore del, così detto, humor nero…”