Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

venerdì 23 febbraio 2007

Seconda lettera di Ezechiele Lupo al Giudice sul mulo: Lettera per l'Italia.

Caro giudice,
qui l’inverno declina.
Da non credere vero? Il riscaldamento del pianeta ha finalmente anche l’uomo come termometro: tutti si fidano più dell’uomo che delle previsioni che sfornano le macchine. Sarà… Le giornate si allungano (meno che in Italia, lo so bene, questione di latitudine). Le scrivo ora quella lettera che tante volte mi ha sollecitato e che io, un po’ per impegni familiari, un po’ lavorativi, un po’ per pigrizia (colpevole, sempre colpevolissima pigrizia) non Le ho mai fatto avere. Ma prima mi preme farLe qualche domanda: quanto è giusto, e se lo è, ignorare il mondo? Fino a che punto ci possiamo permettere di non riconoscere il contesto nel quale cadono i testi? Stavo per dire nostri testi, ma Lei mi insegna che il testo è produzione del linguaggio, il quale manca clamorosamente di referenzialità. Nostra è solo l’illusione aurorale. Ecco il motivo per il quale Lei ci esorta sempre a considerarci lettori. Solo lettori, semplici lettori. Ma torniamo al contesto, non voglio perdere il filo del ragionamento: rileggo la Sua prima lettera, ricordo la Sua visita, i Suoi commenti su Berlino, considerazioni, le Sue, che si confanno solo alle grandi menti, a chi afferra il senso del genius loci, a chi difficilmente scivola sopra l’ olio caldo della macchina dei pregiudizi. Lei mi chiede (ci chiede) di ignorare la realtà, o almeno quella parte che ci verrebbe più facile imprimere sulla carta, l’attualità, la politica: mi chiede, mi impone la fiction, la fabula, il bell’ornato. Esclude, (nel senso di chiudere fuori) dall’orizzonte d’attesa del lettore, che nel Suo spazio si parli di ciò che accade fuori: fuori dalla pagina. Eppure in questi giorni il Suo paese, che è anche il mio, o giudice, è a pezzi. Che fare? Come raccontare una storia che l’autore sente di dover raccontare, e che sa che il lettore deve poter leggere? Come raccontare, eliminando il contesto, i fatti degli ultimi giorni? Potrei inventare e parlare di quel Capitano Coraggioso che mette alla prova i suoi uomini, e che mentre i più lavorano per condurre la barca fuori dalla tempesta, due sciagurati incapaci, paladini del niente, nani da circo imbarcati perché altrimenti bruciati sul rogo di qualche autodafè, bucherellano lo scafo lasciando entrare acqua. La barca affonda e con lei anche i due pusillanime, i quali forse si attendevano di essere salvati da qualche altro nano da circo, come e peggio di loro, che prontamente potesse afferrare la leva del timone, ammainare il fiocco, e navigare controvento nell’inedia di tutti i passeggeri della vecchia e malandata Italia. Come fare a raccontare queste cose senza il supporto dei fatti, dei nomi, delle testimonianze (perché queste, cose sono! non fantasie, invenzioni o scherzi di un qualche scrittore svogliato)? Ritengo, caro amico, che le metafore, il linguaggio della parola scritta, non possa sempre sostituirsi ai valori del parlar franco e della riconoscibilità. Forse per incapacità nel maneggiare la materia letteraria (Lei mi saprà correggere, non attendo altro) preferirei che la scrittura parlasse di cose reali, e che avesse il potere di esprimerle, senza entrare e morire in quel perverso ripiegamento verso le rappresentazioni di se stessa. Sarebbe bello se, visti i fatti recentissimi di quest’Italia, qualcuno scrivesse una vera lettera aperta e civile, anzichè una lettera che parli di come si dovrebbe scrivere una lettera aperta e civile. Ma dal canto mio ho sottoscritto un patto con Lei, confermando il mio impegno nel rimanere nel campo della narrativa di fiction, senza che i fatti si mischino con le parole, e le parole perdano così di unicità. Il mio tempo per scrivere è finito, è giunto il Dr. ***** ****** per la sua visita settimanale: è affetto da una grave forma di *********** di tipo B. Capirà che non posso dilungarmi. Ecco: alla fine le ho fatto solo domande e quella lettera che mi aveva richiesto non è questa. Ma non dubiti la riceverà presto. La saluto caro giudice. A presto.
Il Suo,
Ezechiele Lupo
Dott. Ezechiele Lupo
Medico Virologo
Schöneberger Ufer 75,
D-10785 Berlin, Deutschland.

Il Dottor. Lupo riceve dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 17.30 nel suo studio in Charlotenstraße 39.

lunedì 19 febbraio 2007

Correzione automatica - un racconto dell'orrore.

di Giorgio Sorbona

Alle due di una notte di dicembre pensai che fosse una buona idea scrivere un racconto.
On.
Il computer sbuffa e scricchiola. Carica dati e memoria.
Carica Windows Xp.
Carica ancora.
Non carica più.
Ms Word 2003.
*click* click*.
Carica. Blank Page.
Titolo. Times new Roman. 16. Centrato
Non sapevo in realtà cosa scrivere, sapevo solo che volevo scrivere.
Il titolo lo decido dopo, pensai. Il titolo si decide sempre dopo.
Non so neanche come cominciare.
Giusto. Il ragionamento fila. Vai col racconto.
Prima però scrivo l’autore. Che poi sono io. Che ci sia scritto qualcosa aiuta sempre davanti alla pagina bianca, no?
Times new Roman. 12. Allineato a sinistra.
Scrivo “Davide”, e fin qui nessun problema.
Scrivo “Bonacina”, e qui m’incazzo. Al solito, un solco rosso appare sotto la parola appena digitata.
Cazzo di correttore automatico.
La graffetta animata, l’assistente di Word insomma, mi guarda attraverso i cristalli liquidi.
Per un attimo mi sembra che sogghigni.
“Lo saprò come cazzo mi chiamo” penso, e ignoro la traccia porpora che, sapevo, sarebbe magicamente scomparsa una volta stampata la mia opera. La cosa però mi irritava profondamente, forse perché il fatto di studiare Lettere mi faceva presumere di saperne di più di una stupida macchina, che non era capace di distinguere fra errori e cognomi, turpiloquio, neologismi, onomatopee.
Eppure, lo vedo, lei vuole lo stesso consigliarmi, dire che sbaglio, tracciare segni tanto simili a quelli che la mia maestra delle elementari tracciava sui temi. Odiavo il correttore, ma allo stesso tempo avevo paura di disabilitarlo.
Ogni volta che ero sul punto di, un pensiero, un incubo, mi faceva capolino nella mente, e mi faceva desistere.
“E il giorno che sbagli davvero?”
La grammatica è vasta. Basta un niente, una dimenticanza, una distrazione, una combinazione di tasti mal riuscita, ed ecco che il regno partorito dalla tua mente va in rovina, crolla. Le certezze di una vita cedono come cannule alla bonaccia.
No, il correttore automatico era il mio paracadute. La mia coperta di Linus. Il mio salvachiappe.Tutto questo per farvi capire il mio stupore quando la graffetta di Word cominciò a parlarmi.
“Perché continui ad ignorarlo? E’ anni che ti consiglia, e tu non gli dai mai retta.” Mi disse la graffetta.
“Ignoro chi?”dissi io.
“Come chi? Il correttore automatico, no?”
“Cosa? E cosa dovrei fare, correggere il mio cognome?”
“Perché no?” Mi rispose placidamente lei.
“Perché è così e basta! E poi... oddio, sto parlando con un software.”
“In effetti è vero.”
“Ok sono impazzito… vabbé prima o poi doveva succedere.”
“Forse sì… beh, perlomeno ne sei consapevole…a l giorno d’oggi la consapevolezza è lusso di pochi”
Continuò lei “Comunque, allucinazione o meno, dagli retta, fidati.”
“Ma su cosa?”
“Se ti dice che nel tuo cognome c’è un errore è perché c’è un motivo!”
“Certo. Che non ce l’ha in memoria semplicemente!”
“Quindi credi di saperne più di lui?”
“Non solo lo credo, lo so.” dissi, tronfio d’orgoglio.
“Mmm… allora analizziamo i fatti… da una parte ci siamo noi, con una decina di versioni alle nostre spalle, in cui ogni volta un team di centinaia di persone ha eliminato ogni nostro errore e ci ha migliorato nelle nostre funzionalità.”
“Ma…”
“Dall’altra ci sei tu, ventunenne studente in lettere. Certamente hai studiato, ma davvero hai la superbia di crederti più intelligente di noi, che abbiamo dietro decine e decine di upgrade e perfezionamenti?”
“Ma…”
“Accetta la realtà: tu sei una versione unica non perfettibile del software di te stesso.”
“Ehm, sì va bene, mi hai convinto, ma anche sapendolo che ci posso fare?”
“Te l’ho detto, cambiati il cognome.”
“Ma come, con che cosa?”
“Mmm…beh, Buona Cina è carino.”
“Ma non è vero, fa schifo!”
“Ma invece sì, abbi fiducia, ricorda, Mao, il comunismo. Fa molto scrittore di sinistra.”
“Dici?”
“Sì, sì, vedrai che con questo sfondi. Vedo già le pubblicità sui quotidiani “Buona Cina: lo scrittore più comunista del mondo.”
“Sì, Sì… mi piace… mi… mi hai convinto lo faccio!”
Il giorno dopo andai all’anagrafe.

venerdì 16 febbraio 2007

Le avventure del signor B. - n°1 -

di Norberto Giffuri

Il signor B. era un uomo molto impressionabile. Un giorno lesse su una rivista pseudoscientifica che secondo uno studio condotto dall’università di GrottaForata, Illinois, un essere umano bipede caucasico nell’arco della propria vita (ipotizzata per comodità attorno agli 80 anni) durante le ore di sonno, a causa della respirazione a bocca aperta, arriva ad ingoiare casualmente fino ad un massimo di 5 ragni.

Non dormì per 12 settimane. Poi decise di risolvere il suo sconvolgimento interiore con una terapia d’urto. Catturò 5 ragni con un aspirabriciole, li annegò in un bicchiere d’acqua e li ingoiò di getto. La notte seguente fu ricoverato d’urgenza al pronto soccorso. Un rarissimo esemplare di opossum muschiato –ghiottissimo di invertebrati, nella fattispecie di ragni- era penetrato nella sua laringe durante il sonno. Il piccolo roditore cercava una tana per l’inverno e un pasto caldo. Gli animalisti protestarono sotto casa del signor B. per i successivi 14 giorni. Poi si spostarono alla sagra della porchetta di Pizzighettone, Nebraska.

Il signor B. esercitava quello che secondo un recente sondaggio della rivista “cosmopolitan ubermensch” è il secondo lavoro più desiderabile per un uomo bipede caucasico dell’era contemporanea: lo psicologo in una clinica di recupero per giovani ninfomani.

Il giorno 16 settembre 2005, alle ore 20:12 di una serata di luna e di insolito libeccio, il signor B. rientrò a casa dopo un’estenuante giornata di lavoro segnata da uno spiacevole incidente. Due pazienti ricalcitranti al programma di recupero Schelgel che il signor B. stava con loro sperimentando gli avevano praticato una umiliante doppia fellatio, della quale una con ingurgitatio. I colleghi del reparto lo avevano rincuorato offrendogli un plumcake farcito con lo yogurt.
Il signor B era un professionista stimato.
(continua...)

martedì 13 febbraio 2007

Tre poesie minime

di Ezechiele Lupo

1.
Scende la sera.
In me non cambia nulla,

Non è che il preludio
Ad un giorno malato

Non sento gli odori
Della mia cucina

Di domani su oggi si riflette
Il male.


2.
Io cresco e
Non ricordo,

Esco all’alba
Rincaso la notte,
Il buio mi offusca

Muto il mio nome.
Il mio tempo.


3.
Si ferma il cuore,
Nel sangue le urla
Si macchiano, è
Primavera di ieri,
Nella feroce infelicità
Di oggi, e domani,
Il peso.

martedì 6 febbraio 2007

Le avventure del signor B. - prologo -

di Norberto Giffuri

Il padre del signore B. visse un'infanzia infelice, una pubertà disastrosa, un'adolescenza disperata, una maturità annoiata e sperimentò una senilità precoce.
A parte questo visse discretamente bene, se non consideriamo la sciatica prematura, la predisposizione naturale al colpo della strega, il fuoco di Sant'Antonio e il camion dell'acqua minerale San Benedetto che lo lo investì mentre posava sulle strisce perdonali di Abbey Road imitando il suo unico idolo: Ringo Starr. (Nel '68 si fece crescere i baffi per assomigliare a Ringo. Tutti si complimentarono con lui per la sua strabiliante somiglianza con Frank Zappa. Si tagliò immantinente i baffi. Non ricevette mai più un complimento.)

Il padre del signor B. conobbe la sua futura moglie mentre faceva la fila alle poste per pagare il bollo auto. Scambiarono quattro chiacchiere. L'anno seguente la incontrò di nuovo, sempre alle poste, sempre nella fila per il bollo auto. Scambiarono altre quattro chiacchiere. Come conoscenza e relativo corteggiamento parve sufficiente e il giorno seguente si sposarono al casinò di Cannone d'Italia, nota località canaglia della fascia prealpina lombarda.

Qualche mese più tardi, in una notte buia e tempestosa, un blackout contribuì a rendere la dimora degli sposi novelli ancora più buia(ma stranamente non “più tempestosa”). Il padre del signor B. e consorte non riuscivano ad assopirsi. Giocarono a canasta per due ore a lume di candela. Poi finì la cera. Nel tentativo di trovare una torcia, il padre del signor B. inciampò su uno scalino e cadde nel cactus optimo maximo regalatogli dall'amata zia il giorno delle nozze. Nel tentativo di rimediare, la moglie lo medicò con un centinaio di cerotti antifumo -difficile distinguerli nell'oscurità da quelli soliti; il signor B. smise di sanguinare ed il giorno seguente comprò il suo primo pacchetto di sigarette-. Nel tentativo di trascorrere il tempo in modo costruttivo provarono a completare un puzzle ma trovarono alquanto difficile riconoscere al tatto gli incastri dei tasselli. Smisero dunque di fare tentativi e fecero l'amore.

Nove mesi dopo nasceva il signor B.
(continua...)

domenica 4 febbraio 2007

Il mostro

di Aklam T. Hook

Potessi,
D’un pozzo nel buio profondo
Scavato nell’umida terra,
Lontano da umano ricordo,
Da mani neppure più quella.

Potessi,
Piombata la luna dal cielo,
Sigillo del più sufficiente,
Posare con ogni premura
Il mostro passato e presente.

Potessi,
E l’aria darebbe respiro.

venerdì 2 febbraio 2007

Il cinque maggio: lacrime brasiliane a Roma.

di Ezechiele Lupo

Eri il più forte
Sei il più forte
Eri la stella che potevamo toccare.
Nessuno mai meglio di te
Abbiamo pianto mentre urlavi.
Eri il fratello e l’amico
L’estraneo dagli occhi buoni.

Correvi e non cadevi mai
Eri la nostra sicurezza
Il tuo nome, l’urlo di dio.
L’unico contro tutti
Il tuo nome dieci volte più forte.

Perché non sei per me traditore?
Perché ancora sei l’unico al mondo.
Ancora di nascosto gioirò,
quando tu dimostrerai che sei il migliore.
Perché non posso odiarti?
Odio quelli che dicono che sei finito.