Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

domenica 24 giugno 2007

Terza lettera di Ezechiele Lupo al Giudice sul mulo: (titolo censurato)

Caro giudice,
forse questa lettera non Le giungerà mai, sarà preda del Servizio di Vigilanza sulle Comunicazioni, e seppure nessuno l’aprirà per vagliarne il contenuto, essa sarà fermata dal pregiudizio, dalla paura o dall’ignoranza.
Le scrivo questa volta per mezzo della penna e del foglio e non attraverso la rete, perché un amico italiano, che si trova qui in Germania a Tubinga, il quale mantiene serrati i contatti col nostro Paese, mi ha informato che appena la N. L. ha preso il controllo, la prima azione è stata quella di bloccare il servizio di e-mail sia in entrata che in uscita, ed interrompere qualsiasi accesso ad internet. Molto furbi non c’è che dire; questi qua non sono degli sprovveduti, oh caro giudice, hanno ben chiaro l’importanza della rete per uno Stato. Sì anche per l’Italia, sebbene sia ancora, a quanto ne so, il più arretrato tra le nazioni europee in fatto di fruizione di internet: forse a causa della mancanza di investimenti nella ricerca di nuove tecnologie? non so, e non è questo il punto.
Ho bisogno di sapere come stanno i miei amici a Roma, a Torino, a Trieste. Qual è il destino che attende le vostre (nostre) città, le istituzioni repubblicane? La prego mi faccia avere delle risposte, io in cambio, se vorrà, continuerò ad inviarLe i miei contributi, Le garantisco che posso fare ancora meglio. Posso sicuramente essere più frequente, più leggero, più pulito. Ma Lei deve farmi sapere quale sarà il futuro dell’Italia. Qui da Berlino le notizie sono, come al solito, mediate dalla TV, dai giornali, ma si sa che, nei momenti tragici (o stupendamente esaltanti) che state vivendo, i reportage sono confusi, talvolta ingannevoli, anche volutamente opachi. Ieri guardavo la televisione, stavo mangiando dei cetriolini, (recentemente ho preso a mangiare male, a nutrirmi di tanto in tanto in maniera compulsava, invece altri giorni non mangio proprio, a volte ho dei conati di vomito) il telegiornale passa delle immagini lontane di una piazza italiana; lo speaker dice che siamo collegati da piazza Navona a Roma. Ma chi ha dimestichezza con quella città scoprirà che quelle immagini mentono: non è piazza Navona. Non riconosco che posto sia, ma non è quello che l’inviato vuole farci credere, forse egli non è nemmeno in Italia. Credo che stia succedendo qualcosa di strano. Voi là forse non ve ne accorgete. Credete che la Nuova Liberazione sia un movimento rivoluzionario che, assediando il parlamento e prendendo il controllo del potere esecutivo, stia rifondando uno Stato che era arrivato ormai a mangiare i propri stessi escrementi; forse credete che la N. L. stia uccidendo lo Stato coprofago per rifondarne uno nuovo, fondato sulla legalità, sull’onestà e sulla solidarietà. Io ne sarei felicissimo. Sebbene oggi abbia notato un’altra cosa. Finalmente sono giunte le immagini che tutta Europa aspettava: la notizia degli incendi dei Ministeri degli Interni, della Difesa e degli Esteri di lunedì scorso aveva fatto, come voi ben sapete, il giro del mondo, ma nessuno aveva mai potuto guardare una prova visiva o audiovisiva. Oggi i giornali pubblicavano tre fotografie per ogni ministero in fiamme, per un totale di nove foto. Correlate da ampie articolasse le nove foto mostravano alla Germania la forza purificatrice del gruppo dei rivoluzionari. Ma un attento osservatore avrebbe notato che le tre foto del Viminale in fiamme, in tutti i giornali che le pubblicavano, erano associate all’articolo sul Ministero della Difesa, le tre della Farnesina a quello sul Viminale, e le ultime tre foto del Ministero della Difesa erano il riferimento per il pezzo sul Ministero degli Esteri. Ora, io sono convinto che non si possa essere trattato di errore. Cosa sta succedendo veramente in Italia?
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In questo punto la lettera è stata censurata per decisione del Servizio di Vigilanza sulle Comunicazioni, in ottemperanza delle nuove normative a cui fanno riferimento gli articoli 12.8/83, 21.11/55, contenuti nella Nuova Carta dei Diritti Civili del Nuovo Popolo Italiano (N.C.D.C.N.P.I.), redatta ed entrata in vigore con effetto immediato e permanente il 18.06.2007.

La Nuova Liberazione vi augura di proseguire serenamente la vostra lettura.

venerdì 15 giugno 2007

Esperienze 1

di Asincheraglia

Era una punta fascista. Io ero un soffio comunista.
Tuttavia, recitando, sembrava trasfigurarsi e nelle sue interpretazioni nascondeva il trucco dell’anima.
Nel 1970 un decadente ma prestigioso teatro lo applaudì a scena aperta.
Forse era Brecht o magari Shakespeare. In costume gli occhi assumevano un’altra tinta, le parole uscivano dritte e modulate, le mani disegnavano la realtà della finzione.
La mia carriera era incolore come le mie battute. Non riuscivo a interpretare niente, neppure me stesso. Il sogno di vivere recitando si era infranto una sera in una sala parrocchiale.
Era pasqua e sarei stato Cristo in agonia. Mentre la scena madre veniva consumata con me legato esanime alla croce, i due pali di legno cedettero e fui prossimo al pavimento.
In quell’istante urlai la più solenne delle battute. Una bestemmia.
Come da facile intuizione, i miei ingaggi decrebbero notevolmente.
Una notte, randagiando con i compagni ubriachi del collettivo teatrale, decisi di vendicare le mie frustrazioni sul bravo attore fascista.
Lo incrociammo fuori dalla sale prove insieme ad alcuni camerati. Lo scontro fu violento.
Ma non potrò mai scordare il suo braccio intento a scagliare il più superbo dei pugni. La plasticità dell’espressione, la bocca storta da un urlo amletico.
Sorrisi, prima del colpo, come prima di uno scatto fotografico.
Il sangue era vero come il dolore. Dal dente rotto e dal labbro gonfio conobbi la realtà.
E imparai a recitare.

domenica 10 giugno 2007

Frammento di uno scritto mai scritto

di Norberto Giffuri

Giacevi sul divano, spossata, con un braccio celavi il volto. Io vagavo per la stanza, cauto, scostavo la tenda e fuori una primavera grigia rigava il vetro delle sue lacrime. Quando abbiamo deciso che non ci saremmo salvati a vicenda? La confidenza lasciata sul pianerottolo s'è tutta bagnata; ma non c'era posto per lei tra i libri sullo scaffale, già divisi dal primo giorno: mio, tuo, tuo, mio, questa vanità del possesso era il primo segnale della crisi. Non ci resta niente da spartire adesso. Quella sera hai scostato il braccio e mi hai guardato fissa in volto. Avevi scelto. Avevo scelto. Accendevo la televisione e mi sedevo al tuo fianco. Mancava solo un pretesto. Quando un brutto giorno ci si scopre sul palco, la verità è semplice, lo sappiamo, non si recita l'amore, non è onesto, non vedi l'ora che cali il sipario.
Ritrovare oggi, precipiti i tuoi riccioli come una cascata dal lembo di un lenzuolo, nel ricordo...e pensare che con le dita ho sceso di quei riccioli la spirale tante volte da perdere il conto...sei al mio fianco, le miei mani ti cercano ma non trovano che aria.

lunedì 4 giugno 2007

Hemingway

di Asincheraglia

Iniziò a leggerlo nel bagno, in un momento di profonda intimità. Poi aprì la porta e uscì, proseguendo sul divano, vestito di sole mutande. Gli occhi scorrevano le parole, mentre la ruvida tappezzeria arrossava la schiena. Senza cambiare sguardo, bevve un sorso, muovendo le pupille per scoprire le lettere coperte dal bicchiere.
Quando la luna saliva pensò alla sua banalità e girò pagina su pagina, nutrendosi di frasi e punteggiatura. Col passare dei giorni, il pasto era un rito che si consumava fra bocconi distratti e attente occhiate alle metafore, alle onomatopee, alle metonimie.
Una mattina dovette usare la macchina. I gradini scivolavano due dopo ogni pagina. Completò una analessi entrando in auto. La strada non rapì la sua attenzione.
Interrogato nei momenti successivi (in realtà non esisteva più il tempo) rispose: “Pensavo al buio della confidenza. Pensavo alla leggerezza delle dita. Pensavo al mare e alla neve. Pensavo al trucco dei rami spezzati e colorati di nero - arrivano le sirene -. Pensavo alle sue gambe”. L’airbag mormorava l’ultimo fiato. I vetri continuavano a cadere. Cercò di conservare le sue convinzioni. Un sorso di vento, spostandogli i capelli bagnati, lo portò via.

venerdì 1 giugno 2007

Il peso della memoria

di Paco Zazzaroni

C'era un colle nella mia infanzia
Dove pascevo pomeriggi intrecciando
Steli di segale
Misuravo incantato
D'un solingo cipresso
L'ombra al vespro
Il futuro era soltanto
Il giorno appresso

Salendolo oggi, con passo diverso
M'opprime una smisurata nostalgia
Come sono aguzze le schegge del ricordo!
Come rapida si smorza del cuore ogni euforia!