Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

venerdì 15 giugno 2007

Esperienze 1

di Asincheraglia

Era una punta fascista. Io ero un soffio comunista.
Tuttavia, recitando, sembrava trasfigurarsi e nelle sue interpretazioni nascondeva il trucco dell’anima.
Nel 1970 un decadente ma prestigioso teatro lo applaudì a scena aperta.
Forse era Brecht o magari Shakespeare. In costume gli occhi assumevano un’altra tinta, le parole uscivano dritte e modulate, le mani disegnavano la realtà della finzione.
La mia carriera era incolore come le mie battute. Non riuscivo a interpretare niente, neppure me stesso. Il sogno di vivere recitando si era infranto una sera in una sala parrocchiale.
Era pasqua e sarei stato Cristo in agonia. Mentre la scena madre veniva consumata con me legato esanime alla croce, i due pali di legno cedettero e fui prossimo al pavimento.
In quell’istante urlai la più solenne delle battute. Una bestemmia.
Come da facile intuizione, i miei ingaggi decrebbero notevolmente.
Una notte, randagiando con i compagni ubriachi del collettivo teatrale, decisi di vendicare le mie frustrazioni sul bravo attore fascista.
Lo incrociammo fuori dalla sale prove insieme ad alcuni camerati. Lo scontro fu violento.
Ma non potrò mai scordare il suo braccio intento a scagliare il più superbo dei pugni. La plasticità dell’espressione, la bocca storta da un urlo amletico.
Sorrisi, prima del colpo, come prima di uno scatto fotografico.
Il sangue era vero come il dolore. Dal dente rotto e dal labbro gonfio conobbi la realtà.
E imparai a recitare.

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