Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

lunedì 10 dicembre 2007

La compassione di Cristina

di Nepomuceno Sadda


La vidi per la prima volta in biblioteca. Leggeva un libro seduta in una posizione insolita, una gamba sollevata fino a trovare un appoggio sulla sedia e l’altra accavallata penzolante di lato; il gomito destro puntellato sul tavolo, la mano che reggeva il mento, la piccola testa leggermente inclinata e quei riccioli biondi che cadevano tutto intorno celando parte del viso. Mi sedetti dirimpetto, a due file di distanza. Non studiai. La mia concentrazione cedette all'assalto della sua bellezza. Prima d'allora avevo pensato al colpo di fulmine come eventualità probabile solo in una steppa spoglia d'alberi, in totale assenza di barriere architettoniche naturali e durante un fortunale. Quel giorno mi convinsi che era possibile anche in una biblioteca universitaria.

Fu grande la sorpresa quando la rividi a lezione. Frequentavano entrambi il corso di Estetica. Una meravigliosa coincidenza. Non era facile avvicinarla nella bolgia delle prime lezioni del semestre accademico. Riuscii finalmente a sedermi strategicamente di fianco a lei solo due settimane dopo. Ricordo ogni tentativo non riuscito come se fosse ieri, anzi, come se fosse oggi. Ma non voglio tediarvi con la cronaca dei miei insuccessi. Concentriamoci ora su quella mattina d'autunno che, sì, per la prima volta le sedevo accanto.

Inaspettatamente mi rivolse la parola. Se così non fosse stato probabilmente sarei ancora piantato su quella sedia in attesa del momento giusto, ragnatele sulla schiena e polvere nei capelli. Davanti a me, sul banco, avevo appoggiato un libro di Boris Vian, mio diletto in quel periodo di castelli in aria. Le sue labbra carnose che tanto anelavo mi porsero queste parole “Conosci Vian? Adoro La schiuma dei giorni, l'hai mai letto?” Certo, l'avevo letto. Che l'avessi fatto o no poco importava, in tutta sincerità non rammento se lo lessi prima o dopo quell'incontro, ma in quell’ istante era cruciale affermare baldanzosamente di averlo trovato splendido e poetico ed emozionate e aggiungete formule d'elogio a vostro piacere.

Fu così che la conobbi. Da quel giorno le tenni il posto a lezione. Per evitare di trovare tutte le sedie occupate modificai i miei orari. Sveglia anticipata, treno diretto per Milano invece del solito catorcio per pendolari patologicamente in ritardo e posizionamento in pole position davanti alle porte dell'aula prima dell'apertura. Venne dicembre e il corso terminò. Così, oltre agli orari, modificai il mio piano di studi per ritrovarla il semestre successivo. Quanto fu penoso, tormentato, quel gennaio senza lei. Quando la rividi, sorridente davanti all'aula, alla ripresa delle lezioni, poco ci mancò che mi le mie gambe subissero un cedimento strutturale. E furono ancora i suoi riccioli biondi, le sue labbra carnose. Poi vennero le pause pranzo trascorse insieme e le passeggiate per una Milano che la primavera riusciva quasi a far bella.

Parlammo di amicizie sfiorite, dei giochi dell’infanzia, di viaggi mai intrapresi, di genitori invadenti, delle cicatrici dell’amore, dei nostri miti, della routine della vita, degli interessi abbandonati per cause di forza maggiore, dei nostri risparmi bancari tendenti allo zero, dell’ultima volta che scoppiammo in pianto e dell’ultima che ci ubriacammo, del senso di libertà di una passeggiata in un bosco, di quanto fossimo fortunati ad essere universitari smidollati, di occasioni sprecate e di perle ai porci, di personaggi per i quali l’ostracismo sarebbe da ripristinare, della sonnolenza della domenica pomeriggio nella provincia cattolica, di abbracci insinceri, di quella volta che…, di peripezie automobilistiche, delle mie escursioni solitarie e di egoismo, delle nostre aspirazioni, della volontà di fuga, degli esami universitari incombenti, delle abitudini sessuali dei greci, di cieli plumbei e di metereopatia, di serate buttate in stupidi locali, di sapori mediterranei, di matrimoni affrettati ed insomma dei nostri passati remoti e prossimi, dei nostri presenti e dei giorni futuri, del nostro modo di spiare il mondo dal buco della serratura.
(continua...)

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