Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

lunedì 27 aprile 2009

Legno scuro

di Asincheraglia
Oh taci, non dire niente, rimani seduto a fissare l’oblio… non potresti essere più artista di ora, con la bottiglia di rum sul tavolo di legno – legno autentico scuro – e un fiasco esotico, delle Antille, e una macchia d’alcool che balugina ocra, scola dal collo, frizza nel tappo zuccheroso, si depone e affonda paziente nell’ebano invecchiato. Tossicchia un po’, se proprio devi, e fletti lentamente la schiena – che belle ossa appuntite che vengono fuori! Niente da dire, hai fatto proprio un ottimo lavoro – ma dopo l’ultimo colpo rimani rigido, travolto e paralizzato dalla scossa, come se l’effetto dovesse durare per l’eternità… L’eternità, riflettici un attimo, la senti? Ti è capitato una sola volta, quasi per sbaglio, forse su un letto, o da qualche parte sul mare o in montagna. Poi c’erano quelle mattine – artista! Artista fino al midollo! – che stavi bene così in profondità da pensare che si! Questo sarebbe un ottimo giorno per morire. Insomma, l’eternità non sai se l’hai provata mai o sempre – attenzione, non farti travolgere dalla confusione, potresti essere sincero, misero, dunque smettere di essere artista – e il vuoto che contempli inizia a mescolarsi con l’eternità. Puoi immaginarlo come un memorabile rapporto sessuale – funziona sempre – un’orgia metafisica e dio padrone in latex, vuoto e eternità, eternità e vuoto, come Nyx ed Erebo, scopano sesso angosciante, miscuglio di fluidi celesti – echi whitmaniani – e insieme generano il buio più profondo, ecco il buio, si il buio… ti viene in mente quella volta in cui dicesti una cosa molto molto poetica – ne vai fiero e fai bene: una definizione di infinito? Buio!
Buio e umido, hai freddo dentro le scarpe, le orecchie, il naso, tutto il calore evapora nello sforzo di vivere vita sognata, e poi ti accorgi che il buio e il tacere non esistono, che il nulla rimarrà ignoto, che ci sarà sempre una stella ad interrompere il cielo e il vento a disturbare il silenzio. Oh, ma c’è uno specchio! Ottimo gingillo per un artista, osservi il tuo volto mutare, poi non guardi e hai paura, non sei tu ciò che vedi – ovvio è un riflesso – nausea immediata, nulla che Sartre non abbia già sperimentato.
Ecco una zanzara che ronza… rifletti sull’ipotesi di conversare con lei, certo è un’idea. Ma esiste qualcosa di più commovente che spegnere un’esistenza con due semplici mani che schioccano, con un applauso? La uccidi. Quanto eri sciocco in passato! aprivi le finestre e svolazzavi per la stanza cercando di farle scappare! Piccolo e sciocco…
Ora è tardi, presto. Sarai anche un’artista, ma fedele a te stesso. Pigro e svogliato, sintetico fino alla morte. Hai sonno, e le palpebre sono quasi incollate… prima ti chiedi dove si nasconda tutta la stanchezza del mondo, se esiste un luogo come serbatoio dove ogni cosa involontaria si deposita e resta bagaglio dell’universo. Certo, alla fine, distrutto, pensi anche a lei… ma se accade significa che qualcosa si è rotto. Sei appena tornato in te, ed esausto riesci perfino a coltivare un grammo di dolcezza. Insieme, un graffio di dolore. E’ questo il privilegio di non essere artisti.

1 commento:

Norberto Giffuri ha detto...

...trovo questo frammento di rara bellezza, solidità e franchezza.