Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

lunedì 22 giugno 2009

Non siamo pronti forse? - prima parte

di Ezechiele Lupo

Una serie continuata di curve accompagnava la vettura azzurra lungo una discesa dolce dolce verso la costa occidentale.
Prima a destra, poi a sinistra il barcollio generoso della strada declinava dagli altipiani giù verso le spiagge costiere; ogni tanto tra le rocce a sbuffo, l’impervia mediterranea, generosa vegetazione bassa, scorciava la vista un lembo di acqua azzurra, come un pareo senza valore, il cui colore decresce dal blu al bianco, con gradualità. Sopra, il sole delle dieci d’un agosto benaugurante illuminava il cielo scintillante. Dai finestrini aperti entrava un gran rumore: il vento frascheggiava tra il suo copricostume leggero e le sue magliette celesti. Due paia di occhiali da sole rendevano il tutto più sopportabile, sia per lui, che per lei.
Distante qualche centinaia di metri più in basso T****** e G***** stendevano due teli mare sulla sabbia bianca: processo che avveniva in quel momento con cura, sfidando, ancora vestiti, l’afa del golfo di P*******. Con lo sguardo rivolto al mare chiaro e freddo, T****** sedeva in attesa della protezione solare, che lo schermò poco dopo, condotta dalle mani di G*****, intorno alle sue spalle.
Intanto la monovolume parcheggiata sull’ultimo tornante prima del camminamento pietroso, già diventava un forno mobile. Lui e lei scendevano con gli occhiali scuri, mano per mano, lungo il camminamento che lui aveva giudicato meno impervio. Un piede in fallo e una vacanza rovinata. Il mare senza onde pareva una meta luccicante e bellissima, un obiettivo ricco di calma; gli alti alberi frondosi e tropicali appoggiati alla base della costa rocciosa avrebbero assicurato un’ombreggiatura perfetta per le ore post meridiane: le ore dello stordimento corporeo. Ad un tratto il cellulare di lei squillò tra gli sterpi. Si fermarono, lui la guardò come spaventato, lei ricambiò lo sguardo, prese il cellulare e disse “E’ mia madre…”, e infatti non rispose. Lo mise nella borsa da spiaggia e accarezzò con la stessa mano la guancia di lui; poi si avvicinò e lo baciò: “Che palle era mia madre…” ripeté lei sorridendo. Lui la baciò ancora. Vennero superati nel camminamento da tre o quattro tedeschi bianchi e rossi alternati come in una caprese difficilmente digeribile. In quei giorni i loro fisici raggiunsero il massimo splendore: erano giovani bianchi caucasici, abbronzati e un po’ scottati, asciutti e magri (lei con le giuste forme, lui non certo un palestrato), con l’avvenire negli occhi nocciola e qualche concreta ambizione incatenata a concrete paure. Sensibili, quanto basta per vivere in questo tempo senza soffocare, alle sollecitazioni del “mercato delle cose”; rivolti alla ricerca di una genuinità anche un po’ snob, ma senza ipocrisie. Un buon vino al ristorantino economico ed accogliente, una pasta col pomodoro fresco nella casetta affittata per due settimane, qualche dolce al cioccolato/pere, un film scaricato da internet alla sera e guardato sul laptop nel piccolo patio, tra la brezza del dopo cena e frequenti abbracci sotto il lenzuolo bianco, scosso dal fremere dei loro bacini. Un caffè con dei biscotti e una spiaggia ogni mattina.
Mentre lei stendeva il suo asciugamani sulla sabbia, lui era già in dirittura bagnasciuga: poi ricordandosi di avere ancora gli occhiali da sole, tornò indietro. Lei lo guardò dal basso, ed in ginocchio, si tolse il copricostume rivelando un due pezzi bianco e rosso, per nulla volgare. “Andiamo a fare un bagno?” disse lui togliendosi gli occhiali da sole, “Ora?” chiese lei, “Non siamo pronti forse?” e le tese la mano in un gesto come di benedizione. Lei si sollevò tenendo i piedi sull’asciugamano e lo abbracciò: era fresca.
Erano nell’acqua da qualche minuto e lui era già al largo: amava nuotare oltre le boe, quando c’erano. Il riverberò del sole, la trasparenza acquatica dell’acqua mostravano l’immagine del corpo di lei nell’atto di liquefarsi: era solo un’impressione. Guardò a riva verso le loro cose, lo zaino verde di lui, e la sua borsa del mare, “chi me l’ha regalata quella borsa?” pensò per un attimo; poi si voltò a causa di una percezione: la percezione della presenza di lui. Infatti lo vide procedere ad ampie bracciate, inabissarsi sciogliendosi come olio nell’acqua, e ricomparire davanti a lei. “Ciao… posso tirarti giù il costume?”
“No, è tutto trasparente. Vieni qui…”, lo cinse ancora con le braccia intorno alle spalle, prendendosi i gomiti con le mani: era fresca. Lui la prese per la vita, la sollevò facendo aderire i corpi bagnati e cercò di trascinarla al largo.
“No dai, stiamo qui. Un po’ così…” chiese lei. Forse era possibile farlo.
“Oh… certo. Posso cercare di salvarti la vita tipo bagnino?”
“No. Stai fermo qui.”
Si separarono dopo qualche minuto e lui tornò a sdraiarsi sul telo. Lei si distese tra il piattume del mare, vicino alla costa. Poi T****** la colpì ad un braccio mentre nuotava uno scomposto crawl. Lei si sommerse per un attimo e riemergendo si guardarono negli occhi.
(continua...)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io questo certo nn lo farei leggere a Lady M
Lady Mariam appunto