Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

domenica 23 agosto 2009

"Nanda" Pivano: un'americana a via Manzoni

di R. Castoro
Un paio d’anni fa, in un momento di superficiale sconforto, pensai di dover incontrare Fernanda Pivano. Alcuni dei suoi libri riposavano sulla mensola del soggiorno e non potevo – mi dissi – essere così vicino alla donna che aveva influenzato la mia sommaria adolescenza senza interrogarla e dissertare con lei di problemi che avrebbero, verosimilmente, reso meno sommaria e rifinito la mia adolescenza. O ciò che ne restava, e resta.

Un amico che l’aveva intervistata mi rivelò la strada in cui abitava a Milano. Trotterellai per via Manzoni, in pieno centro, vagliando minuziosamente ogni portone, anfratto, porticina, cavedio, verificando i cognomi sui citofoni e sorprendendo giardinieri interrogativi che, guardandomi, innaffiavano le oasi clandestine di piante colorate e fragranti che Milano è abilissima a nascondere. Da nessuna parte trovai scritto il cognome Pivano. Allora immaginai la sua vita dentro una delle numerose case che, discrete, celano gli abitanti dei palazzi, intenta a muoversi fra chilometri di libri e vociando di pace e Kerouac, insieme a parenti e curiosi, con un tono stentoreo perché – come mi aveva riferito l’amico giornalista – “a volte non sente molto bene, e le capita di avere momenti di entusiasmo intensissimi”.

Non parlai mai con Fernanda Pivano, e il mio proposito di disturbarla al citofono, correre per le scale e bere un tè nel suo salotto, naufragò quel pomeriggio fra i bastioni di piazza Cavour e il teatro La Scala, rassicuranti confini di via Manzoni. Provai a telefonare. Il numero giunse dal solito amico dell’intervista trascorsa. Rivelatosi, il recapito telefonico, irrimediabilmente inesistente, non posso più giurare sul fatto che Fernanda Pivano vivesse proprio in quella parte di Milano, che fosse un po’ sorda e avesse momenti di entusiasmo intensissimi. Decisi allora di riaprire il primo suo libro letto in adolescenza.

Beat Hippie Yippie raccoglie articoli, saggi, interventi pubblicati fino al 1977, ed è, nel complesso, un dipinto colmo di dettagli, artisti imbranati, utopisti isterici, ciclostili inceppati, scrittori geniali, attori in pellegrinaggio, falò di cravatte, una storia animata del movimento underground e contestatario in tutte le sue schegge, iniziando dalle origini avanguardiste degli autori beat censurati, passando per il “De Andrè americano” Bob Dylan, fino a sfiorare le domande esistenziali di una “nuova sinistra” prossima alla scomparsa nel momento esatto in cui prendeva coscienza della propria presenza. Di quelle pagine, che tratteggiano personaggi come Henry Miller, Gregory Corso, Allen Ginsberg (in foto), tirano le orecchie a Jack Kerouac e teneramente piangono la sorte di Neal Cassady – anima squattrinata della generazione beata, morto passeggiando per i binari di San Miguel de Allende – ricordo che sottolineai pochi insulsi passaggi. Uno dei primi capitoli narra di alcol e droga: lì evidenziai avidamente, in chiave libertaria, le righe in cui si spiegava come perfino Omero, nell’Odissea, avesse descritto e celebrato sostanze allucinogene, le stesse che alimentavano l’immaginario di chi, dal dopoguerra in poi, sognò un mondo libero, anticonformista e pacificato. La seconda volta che lessi Beat Hippie Yippie – con alle spalle altri libri di Fernanda Pivano, come la sua Antologia di Spoon River e le traduzioni di Hemingway – compresi definitivamente il valore globale di quei lavori, essenziali nell’intuizione – condivisa dall’amico, innamorato e mentore, Cesare Pavese – di osservare il presente e il futuro letterario attraverso le pagine degli autori americani.

Mailer, Scott Fitzgerald, Burroughs. Ma anche Bukowsky e, recentemente, Palahniuk e Foster Wallace. Sono solo alcuni degli autori scoperti e apprezzati da Fernanda, protagonista di una straordinaria opera divulgativa che racconta l’America sui libri dalla febbricitante età del jazz, fino al gruppo minimalista e alla corrente avantpop (il filo rosso della rapsodia musicale è evidente, in questa galoppata letteraria, dal momento che proprio da un album jazz del compositore d’avanguardia Lester Bowie la banda di scrittori alla Jonathan Lethem ha tratto ispirazione).

Quello che resterà, in fondo, è lo spirito con cui “Nanda” ha disegnato la parabola conturbante di una genia di autori che non poteva essere raccontata altrimenti. Amava quegli scrittori americani in virtù della “vecchia, tradizionale differenza fra letteratura pragmatistica e letteratura accademica, fra i fatti della vita e una letteratura libresca basata su indagini psicologiche”. Preferiva parlare di quotidianità e i suoi reportage mischiavano la critica al cibo preferito degli artisti, ai loro gesti, ai tic meno educati e formali. Su internet circola un’intervista in bianco e nero che la Pivano cerca di condurre, per la Rai, con Jack Kerouac, spelacchiato, bicchiere in mano, ubriaco, il quale alterna suoni onomatopeici e frasi come “Se non avessi scritto avrei fatto il postino. Amavo andare in bici ed avrei avuto la possibilità di leggere. Ora pubblico per guadagnare migliaia di dollari. Chi mi ha ispirato? Non Dante, non Leopardi – pausa di riflessione – e neppure Petrarca.”. Così intensamente legata alla vita, Nanda ha evitato di formalizzare boriose teorie critiche così come capita di scordare, per sbadataggine, di aggiungere lo zucchero al caffè. “Grazie a Dio ci sono questi ragazzi di 18 anni che mi mandano le loro poesie, i loro racconti, i loro auguri e mi chiedono suggerimenti su come fare a superare le tragedie della vita”, ha scritto poco più di un mese fa, nel suo ultimo articolo, rivelando implicitamente anche il motivo per cui io, in passato, decisi di scorrazzare per via Manzoni alla sua ricerca. Un approccio antiaccademico che Fernanda Pivano ha, in qualche modo, scontato e che potrebbe perfino – qui si svela un retroscena pruriginoso – far storcere il naso a diversi autori di questo blog letterario, per cui realtà e finzione seguono percorsi differenti, mentre i poeti della Nanda hanno rigorosamente “vissuto e scritto senza distinguere fra arte e vita”. “Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri: ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli. Questo lavoro lo lascio ai professori”. Cara Nanda, ben fatto.
Foto: Fernanda Pivano e l'amico-poeta Allen Ginsberg "accalorati" dal dibattito letterario.

11 commenti:

Gilla ha detto...

Davvero bello! Grazie.

Diana ha detto...

Ho letto il memoriale di questo tal R. Castoro sulla Pivano. E mi è piaciuto tantissimo. Mi è piaciuto perché è ricco. Mi chiedo, da un lato, se non sia meglio che l'autore non l'abbia mai intervistata la Pivano perché temo, ma non ne sono sicura, che nel caso in cui l'incontro avesse avuto luogo, egli non avrebbe creato questo scritto. Benché la conoscenza e l'esperienza giornalistica siano interessanti occasioni, non trascurerei il valore di un sogno e un desiderio incompiuti che sul Giudice sul Mulo sono stati generosamente condivisi.

Efigenia Doubtfire ha detto...

Che belle parole mio caro Castoro.Che pensiero delicato questo,denudare l'anima, raccontandoci quella sua passeggiata in via Manzoni...ma precisamente quanti anni fa?
Un altra cosa, quanti libri di Hemingway ha letto, prima di ritornare a prendere in mano Beat Hippie Yippie? (La pellicola di Sturges de Il vecchio e il mare non conta!) Chissà quante belle letture...
Un'altra cosa ancora, caro, Bukowski senza "Y".Certo non che una o due lettere facciano la differenza; che cambierebbe se per sbaglio Robbie Williams firmasse un contratto per un film nel quale deve recitare la parte di uno scienziato matto, padre amabile e sfigato con le donne, e Robin Williams dovesse registrare un video musicale con un tanga tigrato sopra un cubo, con una coda che gli fuoriesce dal(...)muovendosi sensualmente? Mah, niente, sarebbero perfettamente intercambiabili.
Un'altra cosa ancora, in quella famosa intervista le cose si svolgono più o meno in questo modo:
Jack:"I'd be a mailman"
Nanda:"You'd be a mailman...un postino"
Jack:"Postino"
Nanda:"Oh that's that's...and why why, why a mailman?"
Jack:"Because...mmm..mm what's his name...Trollope...Trollope...yes Trollope, the english novelist, he was a mailman"
Jack fa tptptjjptpt,gesti segni...
Nanda:"E così potresti andare in bicicletta"
La cosa la suggerisce Nanda, la quale, nonostante l'amore per l'America rimase sempre una ragazza italiana, dalla fantasia come dire, "borghese".Infatti, subito dopo, in un attimo di pura lucidità, Kerouac esclama:
Jack:"But I'm not gonna be a bicicletta.Do you know what I'm gonna be? Boom boom boom"- suggerendo così il suo mezzo locomotore.(Immagino il postino in Harley Davidson e le zitelle americane in bikini dietro le finestre ogni mattina a.....)
Ecco, mio caro Castoro, lei non può travisare questa chiara risposta di Jack.
Infine la sua chiusa, così antiaccademica! (in fondo come tutto il testo)Mi ha fatto pensare a tutti i vecchi cronisti dei piccoli paesini americani, che alla fine della partita di baseball, esclamano:" Cari ragazzi, ben fatto!"
Chissà quanto Nanda avrebbe amato la sua spontaneità.
Cari saluti

Efigenia Doubtfire

Anonimo ha detto...

Intervengo in favore del mio fraterno amico R. Castoro. Riguardo alla faccenda del postino ha ragione lui. Con stima, Jack Kerouac

Anonimo ha detto...

Quanta polemica verbosità da dente avvelenato... non degna di un buontempone come il vecchio Williams RobiN! Spero di interpretare i pensieri del Giudice dicendo che da un po' di tempo a questa parte si sentiva la mancanza di 'sì puntigliosi detrattori! Amo i pezzi controversi...
Ossequi

L'Uomo Bicentenario

Efigenia Doubtfire ha detto...

Oh, finalmente vi fate sentire, voi piccoli timidoni lettori del Giudice.
"Cari ragazzi, ben fatto!"

Sempre vostra, Efigenia Doubtfire



P.S Hey Jack Kerouac, tu sì che sai intervenire in modo convincente.La prossima volta che ci troviamo di fronte al giudice di pace, per beccarci la nostra punizione per detenzione di stupefacenti, ti chiamo, così intervieni in nostro favore.

Anonimo ha detto...

Efigenia con la "E"?
Allora non sei tu.
Io conosco tale Mrs.Doubtfire, Ifigenia Doubtfire, con la "I".

Lapecher

Efigenia Doubtfire ha detto...

Caro Lapecher, io sono Efigenia, il mio nome tu puoi leggere nel Canto V del Paradiso di Dante.
Ma tu, tu caro, puoi chiamarmi come vuoi; e se le analogie ti confondono, non chiamarmi affatto, ma pensami ed io sarò felice.

Efigenia

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

Perche non:)

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie