Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

lunedì 19 luglio 2010

Due diaframmi - terza parte

di Ezechiele Lupo

C’era stato un periodo in cui ogni giorno Peter riceveva una lettera anonima con una foto. Le fotografie appartenevano a due ordini di tempo, passato e presente. In quelle del passato c’era Peter e una sua ex in un momento felice, un posto che avevano visitato, durante una serata da ricordare. Quelle del presente, invece, erano scatti di vita attuale della sua ex: insomma delle foto di cronaca quotidiana. Ogni giorno Peter apriva la lettera: se c’era una foto del tempo in cui stavano insieme, la prendeva e la archiviava in un cassetto; se invece c’era l’altro tipo, la gettava. La storia delle fotografie è andata avanti per qualche mese: talvolta Diana apriva le lettere per Peter. Soprattutto nell’ultimo periodo Peter, ritirata la posta, si dimenticava di aprire la lettera anonima. Allora Diana la prendeva. Alcune le gettava direttamente, altre le portava a casa sua e chissà dove andavano a finire.
Diana un giorno aveva chiesto a Peter se potevano prendere un’abitudine: trovarsi almeno tre volte la settimana, ma con la prospettiva di estendere la consuetudine a cinque sere su sette, in bar dopo le sette e trenta per un aperitivo. Peter aveva accettato. Così Diana propose che il bar doveva essere una vecchia pasticceria del centro, tra una strada a scorrimento veloce e dei giardini pubblici molto poco curati. Diana e Peter, entrambi amanti della puntualità, arrivavano alle sette e trenta spaccate e prediligevano sedersi ad tavolino d’angolo che guardasse alla vetrata, ma con un’ottima vista sul bancone. Aveva deciso tutto Diana in realtà: l’ora, il posto e il tavolo. Si trovavano sempre a parlare: Peter raccontava la sua giornata e Diana ascoltava. Quando questa consuetudine cominciò a turbare Peter, Diana gli disse che non sarebbe durata ancora molto perché: ‹‹la fase di osservazione sta per finire››.
‹‹Che osservazione? Chi stai osservando?›› chiese Peter.
Diana si accostò al tavolino levando di mezzo l’ultimo goccio di Campari e disse a bassa voce: ‹‹Ecco, io prevedo che tra poco, forse pochi minuti, ma più probabilmente pochi giorni da ora, in questa pasticceria scoppierà una rissa: e io voglio esserci. Vorrei fare delle foto››.
‹‹Una rissa? Ma tra chi? Non mi sembra molto probabile. E poi io non vorrei rimanerci in mezzo››.
‹‹Ma no, non ti preoccupare, noi non c’entriamo nulla: siamo solo spettatori. Siamo solo occhi. Comunque fidati››.
Peter non ci metteva niente a fidarsi.
Passarono quattro giorni. Ormai Peter e Diana trascorrevano più tempo in quel bar che a casa: si vedevano dopo pranzo per il caffè, alle cinque per il the e alle sette e trenta per l’aperitivo, che si prolungava oltre le dieci. Diana stava cominciando ad essere impaziente, quando dalla vetrata vide un anziano signore con un lungo soprabito verde dirigersi svelto verso l’ingresso della pasticceria. L’uomo entrò deciso: avrà avuto settant’anni, forse di più. Si diresse al bancone, Peter e Diana lo fissavano. Si fermò davanti al barman, un pingue uomo sulla cinquantina, vestito in elegante cravattino e panciotto neri.
Diana prese la mano di Peter e disse: ‹‹Ora il vecchio gli tira un pugno, guarda››. L’uomo sulla settantina strinse il pugno destro, lo alzò lentamente. L’uomo sulla cinquantina rimase immobile, incredulo ed ignaro del perché fosse incredulo. Fu in quel momento che sulla schiena del vecchio venne rotta una pesante sedia di legno. Il vecchio col soprabito cadde al tappeto senza sensi. L’uomo che l’aveva colpito alle spalle era il cassiere del locale, che ora se ne stava al centro della sala con lo schienale della sedia rotta in mano.
‹‹Ma che cosa hai fatto?›› gridò un istante dopo il barman.
‹‹Non hai visto? Voleva colpirti: era un pazzo››. Mentre il cassiere diceva queste parole, un cliente seduto al tavolo opposto rispetto a Peter e Diana, gli scagliò la zuccheriera sulla nuca. A quel punto il barman scavalcò furibondo il bancone per gettarsi sul cliente lanciatore. Lo braccò cercando di schiacciargli la testa sul tavolino, ma il cliente era più giovane e forte, e non si fece sopraffare: con una mossa assai atletica lo scaraventò a terrà facendogli picchiare pesantemente la schiena. Intanto il cassiere si era ripreso, anche se ancora dolorante, e dopo aver visto il barman rantolare sul pavimento senza fiato, prese la rincorsa e con un salto da gatto diede un calcio volate a due piedi al cliente, che cadde dalla sedia trascinandosi dietro il tavolino con tutte le consumazioni. Scoppiò un parapiglia: molti clienti cominciarono a lanciare oggetti, tazzine da caffè e bicchieri da Martini. Pater e Diana, reclinando il tavolino a mo’ di scudo, si rintanarono in un angolo del locale con una bella visuale. Diana aveva cominciato a fare un po’ di foto. Peter le segnalava i soggetti più interessanti: un bambino tirava i capelli ad un cameriere prima che lui lo colpisse con una bottiglietta di plastica sui denti; ora una ragazza stava baciando appassionatamente quello che doveva essere il suo fidanzato, prima che questi si gettasse sul cassiere, il più prestante tra i contendenti, brandendo cocci di bottiglia tra le dita. Diana fece delle foto che passarono alla storia e Peter visse per lungo tempo raccontando questo aneddoto agli amici. Alla fine Diana aveva ragione: sarebbe scoppiata una rissa, e fu una battaglia in piena regola.
(continua...)

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