Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

giovedì 3 settembre 2009

Keith Gessen - Tutti gli intellettuali giovani e tristi

di Ezechiele Lupo



Tutti gli intellettuali giovani e tristi, (titolo originale: All the sad young literary men) è il nuovo, nonché primo, romanzo di Keith Gessen, intellettuale, non più tanto giovane, di origini russe-ebraiche, notista politico e letterario per varie riviste liberal americane, una su tutte il leggendario “New Yorker”. Gessen è anche cofondatore di “n+1”, insieme a Mark Greif, testa pensante passato con disinvoltura da Harvard a Yale.
E sta tutto qua il senso di un libro come questo: un intellettuale di successo, gratificato dal proprio lavoro ed in bilico sul filo di lana di un paese che cambia ogni giorno, l’America di Obama, ripensa ai dieci anni terribili che hanno flagellato la più grande democrazia del mondo, e che stavano per tagliare una generazione di uomini d’oro della cultura e del ragionamento.
Questo è il senso: una rivincita dell’intellettuale, del suo ruolo all’interno della società, della sua voce, che finalmente (il libro ha suscitato un fervente dibattito oltre oceano) è tornata a dettare la legge del buon senso. Ma è anche l’ammissione di una sconfitta. Gessen ci dice che in questi dieci anni, dal declino Clinton, passando per la tragedia Bush, fino alla rinascita targata Obama, i giovani intellettuali erano tristi. Tristi e soli.
L’unica cosa che hanno saputo fare, questi uomini da pieni voti ad Harvard, da dottorati di ricerca illuminanti, è stata ripiegarsi su se stessi, grattare il fondo delle proprie emozioni. Hanno smesso di guardare alla società, di gridare il dissenso, e hanno cominciato a deprimersi, sopraffatti dalle loro incertezze sentimentali, dai loro fallimenti amorosi, chiudendosi in biblioteca a fingere di lavorare a tesi complicate ed infinite, rimandando sempre il confronto con la vita al di fuori, con quella società che ha voltato loro le spalle, dandosi in pasto alla smania di sangue ed ignoranza dei Repubblicani.
Bel coraggio quindi hanno mostrato i vari Sam, Mark e Keith, (quest’ultimo omonimo dell'autore, ma non più autobiografico di altri), personaggi delle tre storie raccontate dal narratore. Tutti e tre scelgono, consapevolmente od inconsapevolmente, di fuggire. Sam cerca di scrivere “il grande romanzo sionista”, ma non ci riesce perché è troppo poco sionista, e quando va in Israele, non per conoscere la situazione dei Territori, non per guardare “fuori” ma per cercare “dentro” di sé, si accorge di non esserlo per niente. E Mark? Otto anni a Syracuse, cittadina universitaria alcolica e profonda dell’East Coast, chiuso in dipartimento di Storia a scrivere una tesi di dottorando sulla Rivoluzione Russa, ma che preferisce indulgere nel porno sul web e in tre o quattro ragazze alle quali non è capace di donarsi mai completamente. Keith, il cui unico slancio contro la Bush-ocrazia è stato spaccare la tv dopo il risultato della Florida nel 2000, che consegnò il paese nelle mani del meno intellettuale degli americani.
Tutti e tre a caccia di un disperato equilibrio, in fuga da una società sulla quale non incidono, che li rende tristi. Battono in ritirata e falliscono miseramente: gli intellettuali non sanno amare perché non è quello il loro compito. Le storie d’amore dei tre personaggi, talmente simili tra loro da renderne superflua la distinzione, tanto che Gessen sembra non curarsi davvero della coesione narrativa, ma preferisce la frammentarietà ricomposta di stralci di racconto; le storie d’amore, dicevamo, sono fallimenti frustranti, grumi emozionali attraverso cui la mente dell’intellettuale si perde, e la razionalità, la matematica tipica del ragionamento politico e letterario deflagra.
I personaggi di Gessen non sanno amare perché non sanno vincere, e non sanno vincere perché pretendono di applicare teorie politiche e letterarie, buone per la società che li ha rifiutati e nella quale loro non confidano, ai sentimenti. I giovani e tristi intellettuali scelgono di perdere su tutti i fronti: pubblico e privato. Ma per fortuna c’è un “ma”. There’s always a “but”, diceva qualcuno.
Sam, Mark e Keith sono giovani: hanno tempo. E il tempo ha portato Barack Obama e una sorta di palingenesi civile e letteraria. Ora la scrittura ha un senso, si può tornare a raccontare, ad immaginare modelli di società, e anche nella fiction sarà possibile costruire i mondi possibili, i sentieri incrociati dei giovani e tristi intellettuali.
Il libro si chiude con l’immagine di Keith che corre su per le scale di un appartamento di New York: corre incontro al futuro.


Keith Gessen, Tutti gli intellettuali giovani e tristi, Einaudi, Torino, 2009, p. 260, euro 20,00.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

incredibile ezechiele lupo, ogni volta che penso una cosa la trovo scritta qui

E.L. ha detto...

incredibile anonimo, ogni volta che scrivo una cosa la trovo scritta qui

Anonimo ha detto...

Triste considerare l’intelletto come un alibi per l’aridità sentimentale. E’ irritante l’ozioso autocompiacimento in cui si crogiola chi si definisce “intellettuale incapace di amare”.
Più che una presa di coscienza mi sembra piuttosto un tentativo pomposo di trovare un’alta giustificazione alla difficoltà di fronteggiare i sentimenti, difficoltà che a dire il vero affrontano un po’ tutti, e non solamente i signori letterati o sedicenti tali. Solo che giustificandola in realtà non la si affronta, la si dà per presupposto al proprio modo di essere e ci si culla nella retorica illusione che il proprio fallimento nella sfera affettiva sia dovuto al fatto di appartenere ad altri doveri, per dirla alla maniera vittoriniana.
E affidarsi passivi al tempo, al futuro, alla società cambiata senza il proprio intervento è solo un’altra immagine di arida inerzia.
Non credo comprerò questo libro.

Didymus ha detto...

ma perché ancora non hai letto INFINITE JEST?

Anonimo ha detto...

ehy il primo Anonimo, non è lo stesso che ha risposto dopo.. non mescoliamo i complimenti alle sciocchezze!