Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

sabato 28 marzo 2009

Religio Instrumentum Regni

di Dylan Iato

Dio che sei nelle cose,
ti prego ora con l’incoscienza d’un acrobata ubriaco,
con la pavidità d’un cerbiatto senza più madre.

Dio che sei venerato lontano,
laggiù dove sono leoni e il sole tuo cuoce ogni uno,
o ancora là dove ti invocano assieme al vento e all’acqua.

Dio che non esisti,
tu che distratto abiti l’ingegno umano,
tu che mi induci a coglier li frutti della mia logica.

Dio scolpito nel marmo,
che stai sui frontoni delle chiese, nelle case dei nobili,
che sei buono e onnipotente per dogma.

Dio che non può essere rappresentato,
ma solo magnificato col potere ancestrale
della parola e del pensiero.

Dio, che sei solo pensiero,
non esisti, se non nelle bestemmie e nella fatica,
non fermi le mani, non fermi il male.

Dio dell’estrema unzione,
della conversione last minute,
della spada, del libro, del pane e del vino.

Dio pagano, irrazionale, sensuale,
caprone indifferente, ribollente di semi,
forte ed evanescente come un sogno.

Dio che mi hai dato le orecchie,
dopo aver dato ad altri mani,
per costruir musica e strumenti.

Dio che hai sì graziosamente creato
il seno e il sesso femminili,
sì da incastrarci i nostri.

Dio che hai creato la bruttezza,
che hai deliberato il deforme,
che ci hai fatto immaginare un canone per poi distruggerlo.

Dio che sei in tutto,
che ci osservi senza giudicare,
come una malattia che cova, o un angelo alle spalle.

Dio dei sapori,
del nettare d’uva, del miele, del latte,
del veleno, della nausea, del rigetto.

Dio che richiedi privazioni,
che fai indossare cilici e imponi astinenze,
che riempi le chiese nei giorni di festa.

Dio del sonno,
Upnos che mi chiudi gli occhi,
che guidi il mio respiro, me inconscio.

Dio della fame,
che rendi l’omo abietto e simile alla bestia,
ci hai fatto coi denti aguzzi e le carni tenere.

Dio degli incubi,
che ci fai imbarcare e scappare e forse,
non ritornare, forse mai più realizzare.

Dio che mi fai vergognare,
che mi fai tremare, che mi fai domandare,
che mi fai litigare con le onde del mare.

Dio dei libri vecchi,
dei saggi, dell’epiche, delle cronache,
che ti sei dettato, poi scritto, poi letto.

Dio delle fate, dei folletti,
delle storie inventate, delle vite sciupate,
che pensi che i bimbi smettan di crederti quando crescono.

Dio delle carceri,
degli sputi, degli stupri, dei briganti,
dei bei gesti dimenticati né mai tentati.

1 commento:

Dylan Iato ha detto...

stavo per dirmi d'accordo col mio unico lettore che il suo commento è subito stato rimosso.
Una bestemmia lascia lo spazio di un respiro in questo mondo, tanto che parlare, nei giochi di ruolo come d&d, è un'azione gratuita.
Sticazzi l'efficienza del giudice.