Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

martedì 18 gennaio 2011

Il dottore - ultima parte

di Norberto Giffuri

Il ragazzo asiatico sbuca da una porta laterale ed annuncia che la signora è rientrata. Il dottore ripete la frase: “la signola è lientlata”. Poi allontana il ragazzo con un cenno brusco della mano.


La signora compare nell'andito. Non dimostra più di venticinque anni. Ha un viso piccolo con zigomi ben delineati, capelli lunghi castani, corpo filiforme da modella. Indossa un trench color crema, pantaloni bianchi attillati e stivali marroni al ginocchio. Saluta il dottore senza avvicinarsi poi sale le scale. Il dottore non risponde al saluto e seguita a fumare.
D'un tratto si alza e con passo svelto imbocca le scale. Dal piano superiore giungono smorzate parole d'astio, frasi pronunciate con livore. La voce potente del dottore suona come un contrappunto di fagotto alla cantilena acuta della signora. Passano almeno dieci minuti. Una porta sbatte, il dottore riappare sulle scale. Torna nello studio, accende un'altra sigaretta. Fuma in modo nervoso, aspirando di frequente. Dunque si alza, esce dalla stanza. Poco dopo vedo una Porsche attraversare il viale alzando polvere e ghiaia. La Porsche inforca il cancello e scompare nella nebbia.

Sono solo. La casa è silenziosa.

Mi avvicino alla scrivania dello studio. Il monitor mostra il browser aperto su facebook, alla pagina personale del dottore. Il dottore è salutato da molte donne e da due ragazzi abbronzati che gli ricordano il weekend a Boston con frequenti doppi sensi. Sulla scrivania, oltre all'Observer, trovano posto due penne stilografiche, un pacchetto di gomme da masticare alla cannella, un fermacarte di bronzo, una cartolina dall'Egitto, una chiavetta usb a forma di teschio, una confezione di post-it, il trattato l'Arte della Guerra di Sun Tzu in edizione tascabile, un'agenda moleskine rossa, un cd musicale di Zucchero, la matrice di un biglietto aereo Rimini-Kiev, uno scontrino fiscale di un bar di Rimini e un album fotografico.
Apro l'album. Nella prima pagina c'è una foto della signora sorridente davanti ad una fontana collocata nel parco di una villa neoclassica. C'è un post-it a fianco che recita: “Bella sì. ma sorriso falso.” Nella seconda pagina la signora è a cavallo, un uomo inquadrato di spalle, a terra, tiene le redini con la mano destra e il muso del cavallo con la sinistra. Post-it: “Te lo sei scopato? Non hai imparato ad andare a cavallo ma ad andare col cavaliere? Troia.”. Pagina tre: il dottore e la signora sono abbracciati in una spiaggia di sabbia bianca. È l'ora del tramonto. Candele piantate nella sabbia, protette da gusci di cocco che fungono da paravento, illuminano di una luce calda i loro volti. Il post-it sottolinea: “Quattrocento euro per una serata e nemmeno me l'hai data.”. Quarta fotografia: la signora nuovamente a cavallo. Post-it: “Devi stare più bassa, il cavallo non è il tuo scooter”. Giro pagina. La signora è ritratta nell'atto di piantare un paletto di una tenda da campeggio. Indossa una felpa pesante, pantaloni sintetici e scarpe da ginnastica bianche. “Una sera in tenda e dopo hai voluto il cinque stelle per due settimane: into the wild un bel cazzo.” Sesta foto: un bambino di cinque-sei anni gioca nella terra fresca con una paletta. Commento: “Se fosse stato nostro figlio avrebbe il set da giardinaggio di Prada, no?”.
Settima fotografia: una casa di mare dalle pareti bianche e persiane azzurre nell'ora del tramonto. Sotto la foto una didascalia “Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.” A margine, sul post-it “Sì che la ricordo. Tu resti, io vado. Ciao.”

Chiudo l'album, torno alla mia postazione, sistemo il portatile nella borsa ed esco dalla stanza. Nel cortile incontro il ragazzo asiatico. Appoggiato ad una colonna guarda in lontananza la signora che cavalca nel prato del maneggio. I cappelli della signora, intrecciati in una coda, rimbalzano ritmicamente sulla sua schiena, sincronizzati con il trottare del cavallo. Riferisco al ragazzo che il mio lavoro è terminato e mi interfaccerò la mattina seguente con il tecnico delle luci per assicurarmi che tutto sia pronto per l'evento. Il verbo “interfacciare” non è recepito dal ragazzo. Riformulo la frase spiegando che il test dell'impianto luci ha avuto esito positivo e mi sarà mia personale premura contattare il tecnico di modo che sappia come utilizzare le apparecchiature durante la festa. Il ragazzo annuisce e sorride. Concludo rammaricandomi nell'assenza del dottore, avrei voluto rassicurarlo personalmente. Il ragazzo seguita a sorridere. Saluto e raggiungo la mia auto. Avvio il motore, faccio manovra e staziono davanti al cancello. Il cancello rimane chiuso, trascorrono almeno due minuti. Scendo, premo il tasto del videocitofono collocato sul lato interno. Nessuna risposta. Dopo qualche secondo il cancello si apre. Imbocco la strada provinciale, che conduce dritta nella nebbia.
La signora cavalca ancora, nel centro del prato verde.

(fine)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Non male, ma manca l'epica.

Anonimo ha detto...

Ma cosa c'entra l'epica? Questo commento ricorda l'indigenza spirituale di Leone Sbranadivani. O del Lupo Ezechiele.

Anonimo ha detto...

Indigenza Emotiva? Ma di cosa stiamo parlando? Gentile Anonimo, studi l'alfabeto prima di commentare.

Un amico di Leone

Anonimo ha detto...

Una volta c'era l'amico del giaguaro, oggi c'è l'amico di Leone.

Anonimo ha detto...

Bello, complimenti