Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

venerdì 12 gennaio 2007

Colloqui alpestri (ultima parte)

di Norberto Giffuri

Pappa che si rivela ottima e abbondante. Pasta con sugo di verdure –fatto in casa-, due porzioni, mais saltato del burro, una porzione e mezza, rifiuto il formaggio (pessimo), mi concedo pane e cioccolato per chiudere in dolcezza. Vini: Inferno e Sassella DOC. Rapporto qualità/prezzo invitante al momento dell’acquisto, gradazione alcolica medio-alta, garanzia di serata brilla e spensierata vaghezza. Nessuno si incarica di lavare il padellame…operazione rinviata, senza indugio alcuno, al giorno appresso.
Griso, pensieroso, sgranocchia una crosta di pane, lo sguardo rivolto al soffitto. Che stia calcolando a grandi linee il carico sopportato mediamente dalle travi di legno? Del resto ciò si confà alla sua formazione scolastica: diplomato perito edile, ora laureando in ingegneria delle costruzioni. E non scordiamo l’apprendistato con i mattoncini colorati, negli anni dell’infanzia, palestra d’ogni architetto o meglio, archingegnere, che si rispetti.
Chiedo venia, sono preda del luogo comune. Forse sta semplicemente pensando alla sua ragazza. Non si vive di soli numeri.
“La settimana scorsa ho letto su una rivista qualcosa di sconcertante…”
Attimo di silenzio. Griso si volta verso di me, sorride e improvvisamente mi squadra con due occhi da serial killer. Atteggiamento suo tipico, bizzarramente scherzoso.
“…allora, il giornalista autore del pezzo, citando non so quali fonti ufficiali, sostiene che i duecento miliardari più ricchi del pianeta possiedono, tra beni vari, immobili, azioni etc etc, l’equivalente del patrimonio dell’umanità rimanente.”
“Plausibile…e dunque?”
“Beh, ho pensato: basterebbe confiscare i beni di questi straricchisfondati e, ridistribuendoli equamente, raddoppieremmo il patrimonio di tutti gli altri!”
“Vero! Sei miliardi di anime gioverebbero della improvvisa miseria di duecento…mi piace! Estremamente democratico. Quando lo facciamo?”
“Quando scenderemo a valle.”
“Ok.”
“Mi sa che i dati di partenza sono sbagliati. Come si fa a calcolare una cosa così?”
“È la seconda volta che obbietti oggi.”
“No, è la terza.”
“Qual era la prima?”
“Vedo che non capisci. La terza era la risposta di un attimo fa sulla mia duplice obiezione odierna.”
“Griso, quando fai così ti voglio bene. Non montarti la testa però!”
Prende la capoccia tra le mani e la scuote a destra e manca, come uno spiritato.
“Comunque, Griso..”
“Sì?”
“A dispetto del bene che ti voglio, sei un idiota.”
“Lo so.”
Seguita a dimenarsi.
Fine

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Forse il luoghi comuni sugli ingegneri sono "luoghi comuni" perché sono...veri.

Odio gli errori ortografici: ne basta uno e quando leggo questa fisima mi condiziona molto.

Il racconto non offre molti spunti ma ha il pregio di partecipare di una certa "verità": sembra una conversazione reale o quanto meno possibile, di quelle che facciamo tutti, tutti i giorni, e che magari ripetiamo più volte.

I termini molto eleganti e desueti inseriti all'inizio, però, suscitano una certa noia, eliminando l'effetto realistico dell'insieme.

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio per avermi(ci) letto e per il tuo puntuale commento.

Ho corretto l'errore di battitura...mea culpa.