Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

mercoledì 23 maggio 2007

La fuga e il ritorno (ultima parte)

di Ezechiele Lupo

Il porto era immenso. Ne aveva avuto coscienza solo allora, mentre lo misurava a passi distesi e frenetici, frattanto che cercava di regolare la respirazione calda col freddo di fuori. I suoi gesti erano neri come il fondale marino, e come questo, all’interno R***** aveva un brulicare di vita, un fermento di dinamiche spinte, di correnti. In quel momento si accorse in modo terribile che il suo correre a perdifiato non era che un modo per proseguire ad uscire dalla nave. I suoi movimenti tendevano in continuazione ad uscire da un interno che era sempre diverso da quello che credeva. Provò a fermarsi. Il porto era ancora intorno a lui, ma la nave era già lontana. Pensò di esserne uscito davvero. Riprese a correre verso un grumo nero ad ovest rispetto al molo centrale. Era un groviglio di alberi, segno inequivocabile dell’uscita dal porto. Accelerò la sua andatura. Dopo pochi secondi si accorse della luce: sulla sua sinistra una luce di forma rettangolare si era accesa nel cielo. Pensò ci fosse una casa abitata, magari qualcuno che potesse offrirgli un letto o qualcosa su cui riposarsi, magari anche mangiare. R***** allora corse più veloce per uscire dal porto e raggiungere quella casa. Raggiunse infine una sorta di posto di blocco: sulla sua destra c’era un gabbiotto vuoto, di fronte una sbarra di ferro bianca e rossa. La oltrepassò e, aiutato dal sole che lentamente riemergeva dal pelo dell’acqua, prese la strada principale fino ad un tornante; superata la curva guadagnò la cima di un altopiano spoglio di vegetazione, sul quale riconobbe la luce rettangolare che vedeva dal porto. L’illuminazione apparteneva ad una costruzione cubica con cinque identiche finestre ognuna su un lato e sul tetto. La porta era sul lato est tenendo le spalle alla nave, ma su quello nord avendo come punto di riferimento l’ovest del porto. R***** notò la presenza di almeno una persona e bussò alla porta. Aprì un uomo sulla cinquantina, maglione a collo alto blu, barba brizzolata ma completamente pelato. R***** si presentò: “Buona sera, anzi dovrei dire buon giorno oramai: sono P*** della B****.” L’uomo lo guardò con diffidenza e soggiunse: “Io non parlo bene la vostra lingua, è qui per un controllo immagino.” R***** si stupì dell’ingenuità del suo interlocutore e confermò. Quello lo fece entrare. Era un laboratorio della B**** come R***** aveva immaginato. Sulla parete nord campeggiavano una brandina e un comodino, ad est tutti i vecchi macchinari del mestiere, ad ovest un cucinotto. Al centro della stanza una scaletta portava ad un bagno. Non si aspettava niente di che. Chiese: “Qui c’è solo lei?” L’uomo fece segno che non capiva. R***** allora indicò la branda e fece segno “uno” con la mano; quello annuì. “Come procedono i lavori? Mi faccia vedere delle carte, le risultanze.” L’uomo andò al fornello e mise un bollitore sul fuoco. Allora R***** gli si mise davanti e cercò di farsi capire: “Le risultanze… le carte. Avrà delle carte?” L’uomo sembrò seccarsi ma lo capì. Aprì un cassetto del comodino, prese un plico di non più di cinque pagine e glielo consegnò aggiungendo: “Non è scritto in vostra lingua.” R***** gli fece segno che non era un problema e finse di sfogliarlo. Poi disse: “Non va bene. La B**** non sarà soddisfatta del suo lavoro… signor…?” L’uomo lo fissò per qualche istante, forse per capire se era giunto il momento giusto, e capì che non ce ne sarebbe stato uno migliore. “Io mi chiamo P***... come lei.” E sorrise. R***** capì di non essere uscito né dalla nave e né dal porto. Spalancò la porta e si ritrovò sul ponte superiore, in pieno sole.
P***, intellettuale dell’intellighenzia della P******, nonché scrittore di fama mondiale, sorseggiava un buon daiquiri, mentre la più grande nave della flotta della C**** C****** lo faceva viaggiare immobile lungo le rotte più alla moda del mar mediterraneo. Dal ponte superiore godeva la vista della luce solare che lampeggiava sulla piattezza placida del blocco di acqua blu, sul quale scorreva veloce la mastodontica imbarcazione. Ora scorgeva una costa, ora un peschereccio, ora delle barche a vela che facevano il girotondo. Sul lettino di fianco prendeva il sole, con degli occhiali alla moda degli anni cinquanta, la sua bionda compagna di vita: bella e statuaria, l’orgoglio della P******. Si godeva la vita P***! Peccato che stesse tornando a casa. Peccato che la vacanza stesse già finendo. Eppure per evitare questo ritorno, pensava, potrei escogitare una fuga: una fuga notturna col favore delle tenebre, potrei calarmi con una corda nello scolo delle cucine, attraversare uno stretto passetto, ci sarà per forza uno stretto passetto, sbucare da un ancora più angusto tombino, e correre a perdifiato verso il fuori. Tuttavia ci sarebbero altre soluzioni per raccontare una fuga, tante quante sarebbero le possibilità della fuga stessa, ma solo una sarebbe giusta: dovrei all’infinito tentare di raccontare un percorso che va da A a B, passando ogni volta per tante X, quante il numero delle possibilità di fuggire, al fine di trovare quella che mi consenta una ri-uscita. La mia fuga da questa vacanza sarà il mio ritorno, infine pensò lo scrittore P***.
Fine

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