Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

mercoledì 14 maggio 2008

Un inverno di rigore - prima parte

di Ezechiele Lupo

La brughiera era ghiacciata. Il cielo grigio, solcato dalle secche trame delle elevate vette dei busti irretiti, e le basse case dei contadini erano un’arida visione dall’alto della torre. C’era uno stretto letto per bambini addossato ad un muro scrostato. Una piccola stanza. Una ciotola ed una brocca di ceramica. Un armadio di legno di cedro con due cassettoni: di fianco una scrivania ed una sedia con un alto schienale, dove sono stati appoggiati dei calzoncini a mezza gamba grigi, una camicetta bianca, una giacchetta grigia con uno stemma sulla parte sinistra. Sopra al letto una mensola con dei libri scolastici di grammatica, aritmetica, geometria, dizione, pronuncia, metrica, musica, scienze naturali e un manualetto sgualcito di latino. Sulla scrivania un quaderno a quadretti dove sono state appuntate alcune somme, fogli con dei versi in latino divisi secondo la corretta scansione metrica, una scatola di latta contenente diversi pennini: con punta tronca e punta regolare e un pennino per tracciare il pentagramma; e poi due boccette di inchiostro, nero e blu. Sotto le coperte pesanti di grezza e pungente lana, E**** dormiva profondamente, mentre fuori tutto gelava, tutto moriva. Tre pesanti colpi alla porta e il suono di un orribile campanaccio, che percorreva i corridoi e le scale di una delle torri-dormitorio, fecero aprire gli occhi cisposi di E****. Era l’usuale sveglia delle 6. Lo sbatacchio si fece più debole e così E**** capì che Padre McGrey stava salendo le scale per andare a svegliare gli altri. Si alzò e si avvicinò al panchetto sotto il lucernario e, salendoci, in punta di piedi guardò fuori. I campi innevati, i tetti delle case dei contadini tutti bianchi, il fumo che usciva dai comignoli, la natura morta sotto quel manto diafano, la nebbia e un senso di solitudine bambina ed estrema che avrebbe voluto esprimere con un pianto. Ma proprio in quel momento la grande porta si spalancò: sulla soglia c’era William Owen con la sua piccola camicia da notte, gli occhialini rotondi e i capelli spettinati neri; sorridente e tutto emozionato gridò:
“Pantapolita ciao! Sbrigati a vestirti e a venire in chiesa! Prima ci sbrighiamo con le orazioni dell’alba e prima il Padre Rettore ci farà andare in segreteria! Dai, non startene lì, se no la torre di Madison sarà l’ultima per colpa tua!” Non è giusto. Perché lui deve essere felice ed io no. Pensava E****.
Poi William Owen aggiunse:
“E****, oggi è giorno di posta, ricordi?” E se ne andò.
E’ vero oggi è il giorno della posta. Oggi riceverò la lettera della mia mamma e del mio papà! Riceverò la lettera della mia mamma e del mio papà con il permesso di tornare a casa per le vacanze di Natale. E**** sorrise e guardò fuori dalla porta: una miriade di bambini correvano a piedi nudi per il corridoio verso i bagni comuni, facendo un gran baccano. Chissà se anche R***** si è dimenticato che oggi è il giorno di posta. Erano tre giorni che non vedeva R***** ed era triste anche per questo. Il giorno precedente nella sala della ricreazione, E**** se ne stava tutto solo a trascrivere dei versi di Orazio in bella copia, quando vide un compagno di classe di R*****, Carlton McGuinness. Allora E**** gli chiese come stava suo fratello e lo pregò di salutarlo da parte sua, ma quella canaglia di McGuinness gli rispose che non poteva salutarglielo perché R***** aveva fatto il cattivo, ed erano due giorni che stava nella celletta di punizione; gli aveva anche detto che non lo facevano mangiare e lo frustavano ogni giorno per fargliela pagare. E**** si era spaventato moltissimo, perché aveva anche sentito dire che nella torre-dormitorio di quelli più grandi, come era suo fratello, i ragazzi venivano trattati malissimo e subivano continue punizioni: tante volte a R***** aveva chiesto conto di queste dicerie, e, sebbene avesse ricevuto sempre rassicurazioni, era rimasto convinto che, invece, certe voci ritraessero la realtà.
Ora avrebbe ricevuto la lettera dei genitori e, poiché loro scrivevano solo a lui e non a R*****, sarebbe potuto andare dal fratello per comunicargli il ritorno a casa per le vacanze di Natale. Raggiunse i compagni sulle scale della torre. In silenzio, ma trepidanti si dirigevano nella grande cattedrale per le orazioni dell’alba.
Padre Nelson Taddler alzò il calice al cielo:
“Rendiamo grazie a Dio… “
Seguì un brusio informe. Poi silenzio. La chiesa conteneva tutto il collegio. I piccoli come E**** si sistemavano nelle prime file, in ginocchio sulle panche di legno scuro e lucidato a specchio. Poi, più indietro, c’erano quelli del corso intermedio: la loro divisa aveva anche la cravatta blu e i pantaloni lunghi. Quelli del corso intermedio erano i più numerosi. Infine, in fondo negli ultimi posti, i corsi superiori, quelli grandi che si dovevano diplomare. Nei due cori ai lati dell’abside prendevano posto i Padri Insegnanti e tra loro, in prima fila, in piedi, il Padre Rettore.
(continua...)

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