Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

sabato 10 aprile 2010

Alla periferia - parte prima

di Norberto Giffuri

D'estate, ogni notte, con una molletta - viola - fisso il lembo della zanzariera all'orecchio – sinistro - di un grosso leone di peluche. Il centro del lembo lo puntello con un'altra molletta -una rossa- all'applique posizionata sopra il mio letto. Poi alzo la una cassa dello stereo, quella sulla mensola alta lato sinistro della stanza, e ci infilo sotto il lembo opposto. Dunque lascio cadere la zanzariera di modo che copra interamente il mio giaciglio. Mi infilo sotto, guardo il soffitto attraverso le sottili maglie verdi e chiudo gli occhi. Questo accade tutte le notti, in estate...tranne stanotte.

Il sonno non arriva. Sperimento un dormiveglia inquieto, saturo di consapevolezze. E' questa l'ora dei bilanci, per me, da sempre. O meglio, dall'adolescenza. Prima tutto era più sereno, il tempo circolare, il futuro non pianificato, non discusso. La sveglia, la scuola, i compiti, i giochi si ripetevano giorno dopo giorno con le canoniche fanciullesche variazioni sul tema. E poi veniva l'estate, piantata davanti ai miei occhi come un titanico tempio del libero tempo. Indolente e frivola, calda e sonnolenta, l'estate era simpatetica alla mia condizione di irresponsabile.

Non arriva, il sonno. Inarco la schiena, assumo una posizione fetale, rilasso i muscoli. Fuori la città è muta, luglio è agli sgoccioli, i marciapiede sono sgombri dalle auto. La finestra incornicia un pulviscolare di luci. Una torre bianca si allunga fino a toccare la tapparella nera. L'aria è immobile, umida, ha il sapore dell'asfalto bagnato, benché non piova da giorni. Avvicino un bicipite alle narici e mi assicuro che la mia pelle abbia un profumo migliore. Sa di bagnoschiuma del discount e toner di stampante HP. L'orologio led segna le undici e un quarto. Cambio di posizione: ora giaccio supino. Perdura l'inquietudine e si accompagna ad una sensazione di calura.

E dunque arriva lei, la zanzara, vibra accanto all'orecchio destro e monta la mia collera. Quale intelligenza maligna le ha consentito di superare la linea maginot che avevo approntato? La sua indiscreta vicinanza sarà frutto davvero di una logica? Oppure il fetentissimo insetto ha valicato l'inaccessibile frontiera nell'unico punto scoperto trovato per pura insistenza di moto reiterato? Lo ignoro. Decido di non agire. La zanzara potrebbe andarsene com'è arrivata, senza soluzione di continuità potrebbe nuovamente uscire dal cono di luce della mia percezione. Un minuto dopo avverto il primo bruciore. Alluce sinistro, prossimità dorso del piede. Tasto con la mano, sento una protuberanza, bestemmio.

Prima il male del pensiero, ora quello fisico. Decido che è troppo e scivolo sotto la zanzariera. Poi levo la molletta viola dall'orecchio del leone, la rossa dalla lampada, sfilo il lembo da sotto la cassa e appallottolo il tutto auspicando di triturare lo sgradito ospite ronzante.

Inforco un paio di ciabatte ed esco sul balcone. La transizione tra ambiente chiuso e semichiuso – in quanto trattasi di balcone incorniciato a mo' di nicchia tra le possenti spalle di un palazzo di periferia – non sortisce alcun benefico effetto refrigerante. L'aria è immobile, la città lo è altrettanto.
Rientro, infilo un paio di jeans, una t-shirt, scarpe da tennis, apro la porta del mio appartamento e prendo le scale.

(continua)

1 commento:

Anonimo ha detto...

molto bravo