Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

venerdì 12 dicembre 2008

No - ultima parte

di Asincheraglia

Turchia, Iran, Afghanistan, Pakistan, Nepal. Per lui, quel viaggio, era durato due anni e due mesi. Ora restava solo una foto sorridente, occhi piccoli, sbarbato, con la nonna e Jano, il cane pastore di campagna. Negli anni ’70 quello non era un itinerario, ma un percorso esistenziale, una ricerca vera e propria. Si chiama rotta Hippie, e lo zio Alberto l’aveva descritta minuziosamente in un diario custodito dalla nonna. Prima, in famiglia, aveva ingenerato imbarazzo – più o meno come quell’avo ottocentesco, deputato del Regno, sfuggito spregevolmente a un duello perché autore della precoce deflorazione della bella baronessa Lupo – poi l’impresa era stata coperta da un’aura mitologica, perché, in fondo, è più piacevole ostentare che glissare. E così, codardi antenati fedifraghi e zii irrequieti morti di lsd, rientravano in uno speciale pantheon familistico dall’eccezionale indulgenza. Due anni e due mesi “per riscoprire, oltre la banalità della perifrasi, ciò che sono, ciò che voglio” recitava il diario dello zio Alberto. A Michele erano stati concessi cinque giorni. E adesso li distingueva uno per uno e ne coglieva il senso. In ospedale, il medico abbronzato avrebbe potuto operarlo anche il mattino seguente. Forse sarebbe stato meglio. Minuto dopo minuto, ogni sospiro in più non sarebbe stato seguito da uno di sollievo. Ma, umanamente, un interstizio cronologico per accomodare quello che puoi o vuoi o devi, è necessario. Per riordinare le idee, per farle ordinare, soprattutto, a chi ti ha visto e non solo rischia, come te, di non vederti più, ma dovrà perfino sopravvivere agli eventi.
Istanbul, Teheran, Kabul, Islamabad, Kathmandu. Tutto il tempo e tutto lo spazio per comprendere. E, se proprio non ci arrivi, l’appercezione traghettata dalle droghe. Michele, per trovare se stesso, fece il giro dell’isolato. In due ore e due minuti. Per aiutarsi, bevve mezza Coca Cola.
Le scuole elementari, il nido, il liceo che già dall’anno dopo la sua dipartita era stato abbandonato per un nuovo ma sempre fatiscente edificio. Macerie della memoria che non evocavano nulla o quasi. Una certa tristezza, subito travolta dall’angoscia pulsante nelle orecchie. Avvertì, allora, una nostalgia più forte, che aveva a che fare col futuro. Quella dei ricordi possibili e potenziali, dei ricordi in cantiere data l’assenza di esperienze sufficienti. Pensò che sarebbe stato piacevole, alla fine, trovare un filo conduttore, una sorta di telaio di cotone in grado di legare tutti gli eventi di una vita. Per questo valeva la pena andare oltre i 25 anni, e per poco altro. Perché quella domanda se l’era posta senza riuscire a concepire risposte risolutive. In effetti, non esiste alcun valido motivo per vivere. Solo una gamma di voglie, capricci, aspirazioni, tutte volubili e momentanee. E il dispiacere montava perché, del resto, non esiste neppure alcun valido motivo per morire. Il pensiero, relegando gli acquerelli del passato sullo sfondo, si ostinava a sbrigliare le immagini della vacanza da poco trascorsa. Le lunghe spiagge, la biblica sensazione di camminare fino al largo, la guida astratta e sicura dell’ amico. Il “no” di quella ragazza, che avrebbe amato volentieri – ecco un altro legittimo motivo per scommettere sul chirurgo abbronzato – con l’amore denso di quella canzone che faceva “Quando in anticipo sul tuo stupore verranno a chiederti del nostro amore, tu regalagli un trucco che con me non portavi e loro si stupiranno che tu non mi bastavi. I tuoi occhi troppo stanchi per non vergognarsi di confessarlo nei miei proprio identici ai tuoi, sono riusciti a cambiarci ci son riusciti lo sai.”

In fondo, “no” era la sua parola preferita. Grazie al rigore di quelli che come lui ritenevano che prima di tutto e di qualsiasi altra parola importante, bisogna dire “no” a tutto ciò che lo merita, aveva sentito vibrare il suo cuore in maniera strana. Il giorno dell’operazione non era affatto riposato. Gli spiacque cedere all’anestesia perché sentiva che gli sarebbe bastato solo qualche secondo in più per capire quello che aveva sempre saputo. Prima le mani ronzano, i pensieri si muovono, il cuore batte. Poi, in un istante

Fine

Nessun commento: