Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

lunedì 15 ottobre 2007

La leggenda di Ludvig

di Asincheraglia

Preso da un cattivo maestro, Ludvig accettò la lotta armata con entusiasmo infantile.
Il materialismo del sangue, in antitesi al freddo meccanicismo della pistola in metallo e latta, rassicurava la sua liquida personalità.
Del resto, odiava le ingiustizie da sempre. A 11 anni si era preso la briga di rubare la lente che quella fottutissima donna, detta sua madre, gli aveva autoritariamente espropriato, impedendogli di incendiare le nutrite colonie di formiche del cortile. Formiche fasciste, s’intende.
L’esuberanza del giovane si era stemperata in collegio, fra le gambe di un prete di nome Giuseppe che gli inculcò, fisicamente, il “messaggio divino”.
Terminate le scuole, più confuso che persuaso, si mise a guardare la vita.
Guardava la vita e guardava se stesso con gli occhi di un medico un po’ invasato e un po’ freudiano.
Ludvig non capì mai i criteri di felicità proposti dal dott., ma cercò di adeguarsi.
“Essere presenti in se stessi, nelle proprie azioni, nella propria esistenza. Riflettere.”
Non comprendeva perché, oltre a dover condurre una vita di merda, dovesse pure pensarci su.
Correva l’anno 2007 e iniziò un corso universitario. Fu contento improvvisamente, una notte, scopando allegramente e un po’ ubriaco dopo un concerto di marijuana.
Siccome non aveva pensato a se stesso, corse dall’invasato e freudiano, per concedersi una rivincita esistenziale. “Io parlo di felicità, non di contentezza” rispose il dott. barbuto.
Deluso, Ludvig avrebbe capito solo grazie al cattivo maestro che la felicità è borghese e non di tutti.
Seppellire una pistola non è un affare semplice. Ludvig sfogliava Gramsci.
Grazie al suo libro iniziò la lotta armata, utilizzando la copertina come paletta per dissodare il terreno e riporre il ferro.
Il cattivo maestro lo conobbe fra le mura universitarie.
In realtà non era cattivo (rimproverò Ludvig per l’episodio infantile delle formiche) e neppure un maestro (anzi studiava ancora, dopo più di 30 anni). Tuttavia, era un cattivo maestro.
Nelle campagne della pianura si mischiava il proletariato con l’ideologia.
Il cortocircuito fu immediato, dal momento che Ludvig non era proletario e, al massimo, aveva qualche idea.
Ancora una volta fu contento d’improvviso, esplodendo un colpo di pistola precisissimo contro un manichino di polistirolo e plastica.
Tuttavia, si crucciò subito dopo, non capendo se quel sentimento fosse di effettiva felicità o di evanescente contentezza.
Così, disse a voce alta: “E’ lecito domandarsi il perché l’uomo possegga la straordinaria capacità di porsi dei quesiti ai quali mai potrà dare risposta.”
Il cattivo maestro intervenne, sciorinando una salda sicumera e soluzioni per tutto.
La felicità rubata dai borghesi divenne, per Ludvig, un pensiero costante e snervante.
Sempre senza persuasione e con molta confusione, iniziò ad avere i suoi punti di riferimento.
La pistola e le sue potenzialità, il furto emotivo dei borghesi, un conto in banca sempre vivo grazie alle premure dei genitori lontani.
Cresciuto, si illuse di essere pronto ad affrontare questioni come la morte e la giustizia.
La notte fra il 3 e il 4 Marzo di qualche anno dopo, nascosta la pistola nei calzoni, si mosse verso la casa del dott. .
Seduto sulla poltroncina rossa di feltro, il vecchio era intento a scrivere un libro di trecento pagine, centellinato perché la felicità cogliesse il lettore dopo la penultima sillaba dell’ultima frase.
Una frase che non riuscì a vergare, sorpreso come fu da una scossa di pungente adrenalina alla schiena.
Era la pallottola che, senza consapevolezza, veniva scambiata per un istante di appagamento.
Ludvig rimase sospeso fra il sangue, il corpo, e la canna fumante della pistola.
Dalla mattina successiva, perso fra i Nebrodi siciliani, la storia smise di seguire le pieghe della vita di Ludvig, oramai imprigionato in una leggenda che resiste solo nelle camere oscure delle memorie più curiose.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Temo che l'autore condivida l'assenza (o confusione) di idee del suo personaggio.