Il giudice sul mulo Periodico perenne di linguaggi letterari.

mercoledì 26 novembre 2008

L'esercito della nebbia - prima parte

di Guido Micheli

I) Marco

Marco si svegliò alle sei e mezza, diede una manata ai tasti del cellulare che smise subito di suonare. Aveva puntato la sveglia così presto solo perché doveva svegliare la sua ragazza che aveva l’orologio rotto, abitava lontano da casa sua, e doveva alzarsi presto per andare al lavoro. Chiamò la tipa e le diede il buon giorno, poi riprogrammò la sveglia per le otto e si rimise a dormire. Quando suonò di nuovo si sparò una sega, si alzò, si vestì con calma, mise insieme alcuni pezzi del puzzle che giaceva semicostruito sulla scrivania in camera e uscì a comprare un paio di brioches per la colazione. Andò al panificio e comprò anche il pane. La commessa era Chiara, sua ex compagna di classe alle scuole medie. Una volta il Gino le aveva fatto uno scherzo telefonico dandole della mignotta sul nastro della segreteria di casa. Ripercorrendo i 250 metri che separavano il panificio da casa sua, si godette la calma che solo un universitario semicasalingo sa godersi, in un placido lunedì mattina, di una temperata giornata di marzo. Tornò a casa col sacchetto della spesa e trovò suo fratello minore, Simon, sdraiato sul divano del salotto
“Che cazzo ci fai tu qui? - gli chiese - non dovresti essere a scuola?”
“Ho mal di testa.” Rispose Simon metallico.
Marco andò in cucina e mise dell’acqua in un pentolino: mise il pentolino su un fornello acceso. Aspettando che l’acqua bollisse, prese un coltello e aprì in due una delle due brioches che era senza farcitura. La farcitura la fece lui, con un crasto quantitativo di Nutella spalmata alla bell’e meglio. Poi morse ripetutamente quel capolavoro dell’arte dello stare a tavola, godendosi particolarmente i granuli di zucchero sulla superficie di quel raffinato prodotto di pasticceria. Dopo aver finito la prima brioche attaccò la seconda che era piena di marmellata semiacida; se la gustò di brutto. Mise una bustina di tè equo e solidale nell’acqua che ormai scalpitava viva nel pentolino.

II) Io
A un chilometro da lì, mi svegliavo anch’io, mi stropicciavo gli occhi e guardavo inebetito il nulla in cui vivevo. Misi su una canzone dei Nirvana e cominciai ad ascoltare la voce di Kurt Cobain che mi chiedeva di stuprarlo. Avevo un suo poster il camera, una foto in bianco e nero che lo ritraeva con quel suo sguardo perso nel vuoto. Guardavo il suo volto e lo ascoltavo cantare fissandogli ora le pupille, ora la bocca, sperando che le sue labbra cominciassero a muoversi e che il suo sguardo prendesse vita. Mi camminavo a destra e a sinistra e mi sembrava di vederlo, assassino di se stesso, saltare fuori dalla carta, camminare stanco, bombardare la chitarra, bucarsi una vena. All apologies, all my apologies to you: my friend.
Sterco di cavallo fumante, ecco quello che trovai per strada.
Ero uscito a prendere una boccata d’aria e avevo preso una boccata di sterco.
Me lo aveva ficcato in bocca Buster, il bullo del paese, lo stronzo. Ma devo dire che non feci niente per impedirglielo: chissenefrega? Ero al freddo con la bocca piena di merda, sdraiato in un viottolo sterrato con un po’di neve a tenermi sofferente, non avevo nulla in cui credere e nulla per cui combattere, non avevo che insignificanti oggetti e insignificanti soldi. Non chiedevo nemmeno aiuto ché nessuno ha voglia di aiutare nessuno. Quelli che hanno voglia sono antipatici.
Ogni tanto lavoravo da barista al “Rino Bar”. Un giorno venne dentro un rastone con la pelle scura che somigliava a Bob Marley.
“Un caffè” mi disse accostandosi al banco. Io mi girai e gli feci il caffè.
“Vuole lo zucchero?” gli chiesi.
Lui si appoggiò con i gomiti al bancone e, guardandomi dritto, scandì col contagiri due parole:
“Di canna.”

III) Furio
“Gli uomini uccideranno voi stupidi animali.”
Il gatto guardò Furio con aria perplessa. Furio era ubriaco, ubriaco al punto che delirava. Non gli era mai capitata una cosa simile, un delirio di quel genere. Non causato dall’alcol per lo meno. La noia sì: la noia lo aveva spesso portato a lunghe conversazioni solitarie.
Quando era solo in casa e non sapeva che fare non accendeva la televisione. Si stravaccava sul divano e cominciava a emettere urla, canti, parole in inglese e in italiano, parole incomprensibili o sensate, accostate senza filo logico, eccetera. Il delirio di ubriachezza era così simile a quello di noia… forse perché il primo era stato causato dal secondo; in pratica si era ubriacato perché si annoiava.
“Non vedi quanto spreco? - chiese Furio al gatto - Con tutto il tempo che ho sprecato avrei potuto… ehm… costruire una casa, per esempio, o guadagnare un sacco di soldi lavorando… sono utili i soldi, sai? Puoi comprarci tante cose, e una volta comprate aspettare che diventino vecchie, e intanto puoi continuare a lavorare e guadagnare altri soldi per comperare altre cose che ti facciano dimenticare le cose che hai comprato prima e…”
Furio, poveretto, un quarantacinquenne in crisi, più disoccupato che resto, con due figlie e un figlio da mantenere. Il figlio era il sopra citato Marco: mio amico, coetaneo, ventenne, universitario strano. Mai quanto il padre che parlava con gli animali, comunque. Le sorelle di Marco erano più grandi di noi ed erano delle gran fattone; ci procuravano fumo eccetera. Anche i genitori erano dei fumatori incalliti.
Un giorno Furio aveva detto a suo figlio: “Cos’è questa storia che le canne bruciano le cellule cerebrali? Con tutte le canne che mi sono fumato non dovrei più avere un cervello, io!”
Non sono sicuro che avesse ragione.
Accadde un giorno che Furio andò ad ascoltare le pesanti parole che uscivano dalle bocche dei dannati del Ramo. Il Ramo era un corso d’acqua scura, molto largo e molto lungo: una via di mezzo tra un lago ed un fiume che si perdeva nella nebbia. C’era una spiaggetta con un molo all’inizio di questo corso, ma poi nessuno poteva proseguire a piedi. L’unica cosa era continuare in barca, o a nuoto; ma correva voce che navigare o nuotare per quelle profonde acque fosse come suicidarsi, perché le voci dei dannati ti fanno impazzire, e nessuno sa poi tornare indietro.
Furio era lì e guardava gli uccellacci volare al di sopra del cupo corso d’acqua quand’ecco arrivare dalla nebbia un motoscafo color bianco sporco. Procedeva a tutta velocità ma, arrivato di fronte al molo, rallentò di colpo, quasi fermandosi. La vista di Furio non era delle migliori e invano si sforzò di mettere a fuoco la sagoma scura che si aggirava sull’imbarcazione. Rimase a fissarla per una ventina di secondi che si dilatarono nell’infinito. Un dannato? Un moderno traghettatore infernale? Il motoscafo riprese a muoversi un po’ più velocemente e sparì di nuovo confondendosi nella foschia.
(continua...)

1 commento:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)